Nessuno è eterno tranne la Carrà

Con la bacchetta

Maga Maghella

Dal firmamento prende una stella

Estate 2011

Luglio, martedì 5 luglio, afa e scazzo in Pianura Padana. Ore 14.40, su Rai4 trasmettono la replica della quarta stagione del Doctor Who, decima incarnazione. Mentre il Signore del Tempo, irretito dall’assenza di vita sul pianeta Midnight, decide di optare per una gita fuori spazio alle Cascate dei diamanti, accade l’insondabile, la rivelazione che nemmeno Saulo sulla via di Damasco… Sullo shuttle, a intrattenere i passeggeri annoiati, mandano in onda la versione inglese di A far l’amore comincia tu, registrazione di una puntata di “Top of the Pop”, anno antidiluviano 1977. 

Raffa, racchiusa in una tuta di lattice nera, piena di paillettes e scollatura vertiginosa sulla schiena, muove le braccia e danza, il caschetto ha vita propria, la schiena si inarca e detta il ritmo alla sovrapposizione distopica di un secondo schermo in cui scorrono i movimenti frenetici di Betty Boop, che a sua volta balla con Koko il clown, mentre anche il cestino della pattumiera sembra in delirio al suono di Liebe liebe, liebe lei…

Alle 14.43 ormai ho la prova incontrovertibile: Raffaella Carrà è una meravigliosa e lucente aliena.

Estate 1981

Luglio, domenica 5 luglio, sulla prima rete mandano in onda la storica Canzonissima 70. Mamma prepara il pranzo, come sempre a festa, resto in cucina con lei e metto sulla tavola i tovaglioli e le forchette, solo quelle mi sono concesse, ma lascio a metà il lavoro. Una creatura fiabesca occupa l’intera scena del tubo catodico: si accendono le luci in sala, le sfere in bianco e nero ruotano e si spostano ai lati per fare entrare lei, eburnea come un angelo, pantaloni a zampa con laccio al posto della cintura, top alto e sulle braccia come le circensi nastri attorcigliati. Fisso lo sguardo al televisore, rimango concentrato, ogni cosa è scomparsa; Raffaella mi chiama a sé, il suo “dai dai” è un chiaro invito a seguirla, a celebrare l’allegria dell’esistenza: sì, sono pronto, mi lascio trascinare, sono lì con lei. Diventeremo amici, mi dico. Con lei mi diverto, non penso, tutto è gioco. All’improvviso, buio, non capisco cosa stia succedendo, la creatura è andata altrove. Lo schermo è tutto nero. Solo un ronzio. Piango. Papà mi chiama, mi scuote, mi dà uno schiaffo, piango. Voglio tornare lì con lei. Papà parla ad altri e dice che tutto è passato, ora. Che non me ne rendo conto, ma io in realtà le loro parole le percepisco e fa male non poter dire, ma il male passa quando alla tele c’è la donna venuta dallo spazio. 

Ma come dirlo, come?

Dopo pranzo mamma lava i piatti e canta, canta bene. Usa i guanti soprattutto per i bicchieri. Mi metto al suo fianco. A mamma piace molto scherzare, quando canta è felice. Smette di sciacquare i piatti, si abbassa e mi lascia la schiuma del detersivo sul naso. Rido. Si avvicina e intona il Tuca Tuca. Rido perché toccandomi mi fa il solletico. Mamma è così, canta e spiega, racconta di Raffaella Pelloni in arte Carrà, emiliana doc, che è un po’ matta perché ha sempre mostrato l’ombelico, il più bell’ombelico d’Italia, che si veste di mille colori e che fa sempre ciò che vuole; beata lei, le sfugge, ma mica si può davvero. Hanno solo cinque anni di differenza. Torna a spiegarmi le mosse del ballo, io rido sempre, non resisto al solletico. Sono felice, inarco la schiena e fingo di avere il caschetto, biondi siamo entrambi, la imito, ma mamma urla, chiama papà. Vorrei tranquillizzarli, Raffaella mi ha invitato nel suo magico castello di cartapesta come si vede alla tele, ma a due anni e mezzo non so parlare. Mi scuotono, ma no, non è il mal caduco, ve lo giuro, non è quel terribile segreto che gli adulti attorno a me pronunciano come se non li sentissi… È solo un’irrefrenabile gioia, ora passa, Raffaella me l’ha sussurrato a un orecchio, voi non la vedete ma lei è qui con me, è con tutti noi. No, mamma non piangere, le convulsioni passeranno, tutto passerà, Raffaella me l’ha promesso. 

Autunno 1982

Novembre, sabato 5 novembre, manca una settimana al mio quarto compleanno. Come di consuetudine, dopo cena, arrivano gli zii. Mamma tira fuori le noccioline americane e prepara i pop-corn; lo spettacolo sta per iniziare. Nell’aria c’è una frenesia incontenibile. Nonna ci ha regalato la tele a colori ed io scalpito, scalpito da giorni: il sabato sera è il momento che attendo come il più felice e questa è una sera speciale. Non riesco a contenermi, parlo parlo parlo, mamma dice a zia che se l’avesse saputo che sarei diventato un fiume in piena, mai mi avrebbe portato dalla logopedista. Parte la sigla, urlo zitti tutti, non sento nulla, zittiiii, è tornata a farci visita. Mamma dice a zia che mi riferisco alla Carrà, che i bambini credono a tutto e che io non faccio eccezione, dice che credo che sia una donna dello spazio, che si presenta un giorno ogni sette alla platea degli italiani, scendendo da una navicella talvolta arcobaleno talvolta giallo fluo. Il giallo è il mio colore preferito. Io penso che gli adulti siano scemi a non vedere la realtà gioiosa del mondo. Raffaella danza come non mai, anzi vola come la farfalla luccicante millecolori stampata sulla sua maglia, protende il braccio verso la telecamera, vuole ballare  leggera nel suo castello e vuole restare con me. Anche se stonato canto a squarciagola, mamma non mi sgrida, dice a zia che è felice, io ballo ballo ballo senza respiro per quella sensazione magica del sogno a cui mi si invita. Il mal caduco, spiega mamma, non si è più presentato, lo sciroppo sta facendo effetto. Sì, gli adulti sono scemi, è il sorriso di maga maghella a farmi guarire. 

Estate 2021

Luglio, 5 luglio, pomeriggio, estate. I mass-media di tutto il mondo in edizione straordinaria avvertono che l’esperienza terrena della donna proveniente dallo spazio è terminata per sempre. Gli adulti, da piccolo pensavo, sono degli scemi patentati. Lo penso tutt’ora. Chiudo gli occhi, mi concentro, no, il mal caduco non può più tornare, ma sono solo. Ho paura. Ho ancora bisogno di te. Gli adulti sono scemi, mi ripeto.

Mi stendo, resto immobile, chiudo gli occhi e sei sempre lì nel nostro castello speciale, lì dove possiamo continuare a fare rumore, a cercare Luca e tutti i ragazzi biondi del mondo e intanto continuare a far l’amore ogni cinque ore con tutte le creature variopinte dell’universo e tornare a lanciare stelle e paillettes per rendere ancora una volta irripetibile la festa della nostra esistenza.

Sì, ora ti lascio partire, promesso, tanto poi torni come sempre, vero?

Un racconto di Andrea Breda Minello

Illustrazione di Elisa Invy Inverardi

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