Vecchi eroi

Difficile annoiarsi, qui. Prendiamo l’uomo che poco fa si è avvicinato alla dott.ssa Rosati. Il vecchio Toni. Le sue guance sono ricoperte da quel tipo di barba che a passarci sopra la mano sembra di carezzare una grattugia. Indossa sempre dei mocassini con le nappe che vanno a nozze con la sua tuta Asics blu elettrico a strisce verde fluo. Sotto la maglia, il vecchio Toni impugna un paio di forbici. «Io la jota (1) non la pago», dice Toni alla dott.ssa Rosati, accompagnando le parole con quella minaccia all’arma bianca. La Rosati è la nuova tirocinante del dott. Percic e Dio non voglia che le venga un infarto durante la sua prima settimana qui da noi. Ascoltando le parole del vecchio Toni, l’incarnato della Rosati perde almeno due tonalità. A guardarla, fa pensare a una Janet Leigh paralizzata un secondo prima di spalancare la bocca. Il fatto è che a nessuno piace essere pugnalato con un paio di forbici, soprattutto se l’aguzzino ha il colletto della tuta sporco di sbobba e forfora. «Io per la jota non sborso un euro», ripete Toni.

Due mesi fa, una donnona con degli occhiali senza lenti e una tinta corvina da far invidia a Renato Zero si è addormentata con la faccia dentro un piatto di jota. Nessuno ha mosso un dito, almeno finché la superficie della jota(2) ha iniziato a sobbollire.

Anche oggi, mentre Toni e la dott.ssa Rosati se ne stanno fermi, pietrificati sotto la luce del neon, nessuno degli ospiti muove un dito. Non è tempo di eroi, o magari i pochi che si sono resi conto di ciò che sta accadendo pensano che il vecchio Toni non rappresenti una minaccia. La radio sta trasmettendo “Un’ora sola ti vorrei” a basso volume. La dott.ssa Rosati muove gli occhi a destra e a sinistra, ma nessuno intercetta la sua richiesta. Nessuno tranne me. Dopotutto, è questo il mio ruolo qui. Anche due mesi fa, se non fosse stato per me, la donna con gli occhiali e i capelli neri sarebbe affogata dentro la minestra. E nessuno avrebbe avuto nulla da ridire(3).

Così, proprio come ho fatto due mesi fa, mi alzo e mi stiracchio, anche se preferirei continuare ad ascoltare la radio e farmi i fatti miei. La dott.ssa Rosati si accorge di me. Sorride con gli occhi. Mi avvicino al vecchio Toni e appoggio la punta dell’indice contro la sua schiena. Gli dico: «Pistola batte forbici, arrenditi», e premo più forte. «Lascia perdere, finché sei in tempo». Il vecchio Toni sbuffa. Mi fa pensare a un bambino a cui viene detto che non può avere una seconda porzione di gelato.

Due mesi fa, per salvare dall’asfissia la donna, ho utilizzato una cannuccia. L’ho infilata dentro la sua jota e ho iniziato a succhiare, come se non mangiassi da anni. Neanche il tempo di buttare già due sorsi, che lei si era ripresa e mi aveva guardato spaesata, una maschera di crauti gocciolanti. Ognuno, qui, ha un suo modo per attirare l’attenzione.

Tornando al vecchio Toni, lui estrae le mani da sotto la maglia e le solleva sopra la testa. Dice: «Non erano forbici reali. Non sono quel genere di persona». Poi fa una piroetta sui mocassini e si dilegua in corridoio, diretto verso la sua stanza. La dott.ssa Rosati rimane lì, con quella smorfia ancora pietrificata sul volto, eppure anche così è la più bella assistente che abbia mai messo piede qui. Sto ancora mimando la pistola, quando sento delle voci fare il mio nome. Mi chiedono cosa stia facendo. Se stia importunando la dottoressa. Se mi stia mettendo di nuovo in mostra, come avevo fatto due mesi fa con la faccenda della donnona e della jota. Loro continuano a dire che non c’è stato alcun salvataggio. Che non c’è nessuna donna con capelli corvini e occhiali senza lenti, non qui. Che non c’è alcuna jota.

Potrei rispondere che non è colpa mia, se non hanno visto ciò che ha fatto il vecchio Toni. Che dovrebbero essere meno superficiali. Si è sfiorata la tragedia, qui. Ma non lo faccio. Do un’ultima occhiata alla dott.ssa Rosati e sospiro. Lei sorride e mi accarezza la spalla. Dice: «Va tutto bene». Poi le voci dietro le mie spalle si fanno più vicine, incombenti, prima di scomparire nell’ennesimo tramonto silenzioso.

(1) La ricetta locale, orgoglio della signora Slautern, prevede, oltre a crauti, fagioli e patate, anche cotenna e costine. Dice che danno quel sapore in più. Oltre all’immancabile aggiustamento di “lexo”.

(2)Il fatto è che la jota preparata dalla Slautern, a detta di molti, è la migliore in città. Dunque, sulle prime, gli ospiti dovevano aver pensato che la donna con gli occhiali senza lenti fosse semplicemente molto affamata.

(3) In effetti, se non fossi stato tenuto ad aiutarla, forse anche io mi sarei disinteressato di quel quasi affogamento. La donnona sta sempre sulle sue. Non brilla per simpatia, ecco.

Un racconto di Matteo Quaglia

Illustrazione di Elena Giorgiana Mirabelli

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