Con i piedi per terra

“A che piano va?”

“Al numero cento.”

“Il piano della consacrazione!”

“Già.”

“Certo ci metterà un po’ ad arrivare… Con questo ascensore!”

“Non conosco ascensori veloci.”

“Io una volta l’ho preso un ascensore veloce. Non mi sono nemmeno reso conto di essere arrivato al cinquantesimo, 

“Capita quando si è giovani. Io sono stato abituato a prendere le scale.”

“E lei si farebbe cento piani a piedi?”

“Dieci anni fa ne ho fatti settanta.”

“No, guardi, non fa proprio per me. Oggi ho un appuntamento importante al quarantesimo. E non ci tengo ad arrivare tutto in disordine.”

“Capisco.”

“Questo giorno lo aspetto da un anno.”

“Capisco.”

“Lei cos’ha in valigia?”

“Il vestiario.”

“Tutto il resto le verrà fornito?”

“Sì.”

“Anche lo spazzolino?”

“Anche lo spazzolino.”

“Io, sa, mi sono portato una coperta da casa. Quando a una certa altezza si aprono le finestre, si rischia di gelare.”

“Al centesimo arieggiano durante la notte.”

“Durante la notte? Non ha paura di prendersi un malanno?”

“Lei non conosce i letti che ci sono lassù.”

“Quindi ci è già stato?”

“Mia moglie. Lei ci è stata per un periodo.”

“Ed è tornata con i piedi per terra?”

“Diceva che le mancavano certe cose…”

“Ad esempio? Già al quarantesimo si hanno a disposizione domestiche e camerieri…”

“Diceva che esistono cose che non si possono quantificare.”

“E lei le ha chiesto a cosa si riferiva?”

“Non le ho mai chiesto.”

“E adesso come sta, con i piedi per terra?”

“Non la vedo da molto tempo ormai. So che lavora alla palazzina dei sentimenti.” 

“E si trova bene?”

“Non so.”

“Io invece non mi sono ancora sposato.”

“Lo immaginavo.”

“Lo dice perché non sono bello, vero?”

“Lo dico perché si è portato la coperta da casa…”

“Lei quanti anni ha, scusi?”

“Sessanta.”

“Ecco, io ne ho la metà di lei. E vado al quarantesimo. Quando ne avrò sessanta sarò almeno all’ottantesimo.”

“Il Mondo non va avanti a progressioni aritmetiche.”

“Quindi può anche darsi che a cinquant’anni andrò al centesimo!”

“Non credo.”

“E perché no?”

“Lei vuole avere famiglia.”

“Cosa glielo fa pensare?”

“Si porta appresso una coperta perché vuole che il calore sia a disposizione.”

“E se anche fosse? Che male c’è nel desiderare una famiglia? Anche lei l’ha avuta.”

“Sì, ma la mia famiglia era differente. Non ci chiedevamo come stai, cosa vuoi da mangiare stasera, e tutte le altre accortezze che differenziano due persone che vivono sotto lo stesso tetto, da individui che hanno legami stabili e forti.”

“Anche dovessi avere una famiglia così come la descrive lei, la mia priorità rimarrà sempre il piano.”

“Priorità. Lei lo sa che dal settantesimo in poi si può scendere una volta all’anno per un massimo di tre giorni?”

“Non lo sapevo. Ma in questo momento non ho nessuno interessato a me, se non i miei genitori. E i miei genitori sanno che loro figlio non può perdere tempo con i piedi per terra.”

“E per ricordarglielo le hanno regalato la spilla a forma di rana che indossa sopra l’abito.”

“Questo è un portafortuna di famiglia. Sa: sono il primo della mia gente a superare il trentesimo.”

“Capisco.” 

“I suoi genitori, invece?”

“Mamma e papà sono morti. Hanno sempre lavorato al centesimo. Quando ancora gli ascensori erano separati e ce n’era uno che portava ai primi cinquanta piani, un altro ai secondi trenta, e l’ultimo ai più importanti.”

“Quindi anche quella di origine non è stata una vera e propria famiglia.”

“La mia è una dinastia. Non una famiglia.”

“Ed è figlio unico?”

“Non sono tutti figli unici quelli che arrivano a certi livelli?”

“Forse una volta era così. Adesso le cose sono cambiate.”

“In peggio…”

“Per quelli come lei, forse. Riceveranno un’eredità più piccola.”

“Esigua. Si dice esigua.”

“Un’eredità più esigua.”

“A noi non importa di quello che gli altri ci lasciano.”

“E allora cosa vi importa?”

“Poter vedere la città dal centesimo piano.”

“Ma da lì le cose non si vedono meglio. Sono più piccole e si perdono i particolari.”

“Dall’alto si ha la visione d’insieme.”

“Comunque anche voi avete un limite: l’orizzonte.”

“Oltre l’orizzonte del centesimo c’è il nulla.”

“Sua moglie non le ha mai parlato del lavoro?”

“In quei tre giorni in cui l’ho vista abbiamo sempre fatto altro.”

“Cose tipo?”

“Cose nostre.”

“Avete fatto figli?”

“Non ne ho voluti da lei.”

“Perché?”

“Sapevo che sarebbe arrivata al centesimo, ma ero altrettanto certo che avrebbe mollato dopo poco.”

“Per lei i figli sono importanti?”

“Fondamentali.”

“E allora cos’è cambiato? Lei ora ha sessant’anni, di sicuro non può sperare di averne!”

“Lei non è a conoscenza delle tecnologie del centesimo piano.”

“Mettiamo anche che lei abbia un figlio a sessant’anni. Non crede che sarà poco il tempo che passerete assieme?”

“Perché crede che sono arrivato così tardi al centesimo?”

“Perché gli ascensori sono lenti?”

“Questo è vero. Ma già dieci anni fa sarei potuto arrivare a questo livello. Il mio ritardo è dovuto a essere stato figlio per così tanto tempo.”

“Cosa sta cercando di dirmi?”

“Che meno legami veri si hanno, più velocemente si arriva in alto. Per questo voglio avere un figlio tra dieci anni. Lo faccio per il suo futuro.” 

“E perché tutta questa fretta di arrivare?”

“Perché l’orizzonte del centesimo piano è tutto: vedi il possibile senza vedere il nulla.”

“Io non voglio vedere tutto. Voglio fare la differenza in un particolare.”

“Allora il quarantesimo è già un ottimo risultato.”

“Sicuramente. Un ottimo risultato.” 

Un racconto di Roberto Zagarese

Illustrazione di Chiara Zucchelli

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