Ogni quanto fai l’amore

L’autogrill Tiburtina Sud è così piccolo che i diversi prodotti sono accatastati l’uno accanto all’altro in un caos chiamato ottimizzazione degli spazi. Una coda di persone dalle facce affamate aspetta il proprio turno alla cassa, è l’ora di cena e di conseguenza i pochi tavolini rotondi sono pieni. Un uomo si guarda attorno con in mano un Apollo e una coca-cola, non sa dove mettersi a mangiare. Scorge una donna elegante che occupa un tavolino da sola mentre sorseggia una birra. L’uomo si avvicina schivando un paio di ragazzini, poggia l’Apollo e la coca-cola davanti a lei.

Mi scusi, sa, ma sono tutti occupati.

L’uomo indossa una giacca semplice, una camicia e una cravatta a buon mercato, niente di stravagante, funzionale al suo lavoro d’ufficio. Anche la donna è vestita come lui, quasi potrebbero essere colleghi. Si somigliano persino nei modi.

La donna ha l’aria assente, un po’ triste, ma per gentilezza, come un riflesso incondizionato, gli fa un mezzo sorriso.

L’uomo addenta l’Apollo, mastica a bocca chiusa. È secco, ma gli va bene lo stesso.

Lei ha già mangiato? Non è per avere il tavolo tutto per me, eh, ci mancherebbe…

La donna si limita a scuotere la testa.

Le manca molto ad arrivare a casa?

No, un quarto d’ora…

Ma dai, anch’io abito vicino. Mica sarà come me?

Perché, lei com’è?

Uno che non ha voglia di cucinare.

È riuscito a farla sorridere. L’uomo dà un sorso alla coca-cola, sembra che abbia davvero molta voglia di parlare e le dice la prima cosa che gli passa per la testa.

Mi ha sorpreso che non mi abbia chiesto che lavoro faccio. È la domanda che fanno sempre tutti.

La donna si limita a fissare la sua bottiglietta di birra.

Quanti anni mi dà?

La donna lo squadra un attimo.

Quarantacinque?

No. Ne ho trentacinque.

La donna risponde con un’alzata di spalle, lui fa lo stesso.

Mi chiamo Giovanni.

Io Mara.

Giovanni, rassegnato, torna a mangiare il suo Apollo, non si volta più a disturbarla. Mara lo osserva con la coda dell’occhio, come se un po’ le facesse pena. Attorno a loro le persone sembrano essersi moltiplicate, così come il chiacchiericcio e il rumore dei piattini. Quasi manca il respiro.

Mara dà un paio di sorsi alla birra.

Ti piacciono le barzellette?

Sì. Non ci vado pazzo, però sì. Mi piacciono.

Allora te ne racconto una. L’ho sentita in un film francese. “Gli amanti del Pont-Neuf”, mi sembra…

No, non l’ho visto.

Te la racconto. Insomma… in un bar ci stanno due amici. E ognuno di loro si lamenta che la propria compagna ha poca voglia di fare sesso. Tipo uno fa sesso solo una volta a settimana e l’altro ogni due. Se ti annoio dimmelo, eh.

No, figurati, vai avanti.

E quindi sono lì tutti impegnati a lamentarsi e, dall’altra parte del bancone, ci sta un tizio della loro età che è bello allegro e se la ride tra sé e sé. Così uno dei due amici, un po’ stizzito, va da lui e gli chiede ogni quanto faccia l’amore. E il tizio gli risponde ridendo “ogni tre anni”. Gli amici sono stupiti e gli chiedono allora cosa cazzo ci abbia da ridere.

E il tizio che risponde?

Che oggi è quella volta.

Il volto di Mara viene subito invaso da una risata inaspettata, tenera, da bambina. Giovanni invece tarda un attimo, come a rimettere insieme i pezzi, poi si mette a ridere anche lui. Un paio di uomini al bancone si voltano a guardarli incuriositi.

Giovanni si ricompone, gli sembra di notare qualcosa che non combacia in Mara, che stona con la situazione ma che per questo lo incuriosisce.

Mara… tutto bene?

Non ti preoccupare, sto bene. Sono solo un po’… felice…

A Mara viene da ridere di nuovo, ma stavolta in modo finto.

Non sono ubriaca…

Non intendevo quello, è solo che…

Ti posso fare una domanda?

Sì.

Se non vuoi non rispondere, eh… tu quante volte a settimana fai l’amore con la tua compagna?

Giovanni resta un attimo spiazzato dalla domanda. Poi decide di rispondere.

Una volta a settimana, massimo due.

Vorresti farlo di più?

Sì.

Mara annuisce. Giovanni la guarda.

E tu? Quante volte fai l’amore a settimana?

Quello che basta.

Giovanni annuisce.

E il resto ti basta?

Mi accontento. Mi accontento un po’ su tutto, io…

Giovanni finisce di bere la coca-cola, del suo panino sono rimaste solo le briciole.

Io no. Non ce la faccio ad accontentarmi. Anche sul lavoro, per esempio, sto aspettando che arrivi il mio momento. Un momento che non arriva mai. Sta là, sempre a un passo, ma ogni volta si sposta un passo più avanti. Come la linea dell’orizzonte.

Mara torna seria, guarda una giovane coppietta che le sfila davanti per andare in bagno.

Ognuno, alla fine, ottiene il lavoro che si merita.

L’ha detto con amarezza, Mara.

Lo spero. E tu che lavoro fai?

Io ho fatto un pompino al mio capo per non farmi licenziare. E, al posto mio, ha licenziato il mio ragazzo.

Giovanni resta un attimo ammutolito.

E il tuo ragazzo lo sa?

Ancora no.

Perché non hai denunciato il tuo capo?

Perché lui ha solo detto che voleva licenziarmi. Non mi ha fatto nessuna pressione. Sono stata io a proporglielo.

Ma scusa, che lavoro è per tenerci così tanto?

Mara finisce la birra, il suo momento di sincerità è finito.

Quello che mi merito.

Giovanni la guarda andarsene, stretta nella sua longuette da ufficio, con i capelli biondi che le ricadono sulle spalle. Ci aveva creduto, Giovanni, di poter vivere finalmente una serata diversa, un attimo di respiro dalla sua minuscola esistenza.

Con la solitudine addosso, si rimette in fila per prendere un altro Apollo, guardandosi attorno, cercando la prossima da abbordare.

Un racconto di Adriano Giotti

Illustrazione di Rebecca Fritsche

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