La Diva

Martina, non posso crederci, si sta mettendo anche a piovere. Non bastavano l’omelia del prete, i veli, i vestiti neri, le lacrime finte di tua madre e tutta la fiera delle banalità; ora si mette anche a piovere al tuo funerale. Altro che festa anni ’30, con tutti vestiti eleganti e piume in testa. Mi dispiace, tesoro, non c’è nemmeno il giradischi con Sophie che canta: “Some of these days, you’ll miss me honey…”

Ne avevamo parlato una sera che avevamo deciso di fumare un po’, distese a letto; avresti voluto andartene col botto, con la gente a bere champagne di lusso, a ridere e raccontare storie su di te. Come una di quelle dive; sognavi di arrivare in ritardo al tuo funerale come Liz, o che qualcuno cantasse per te come con la Bergman. Sì, lo so, la tua preferita era ad un altro livello; mi hai fatto vedere tutti i suoi film, certo che me la ricordo: Bette Davis, lei era la donna. “Ha vissuto nel modo più difficile”, dicevi sempre così.

Qui non c’è nessuna festa, solo delle persone che, viste da lontano, assomigliano a un lago nero che vuole inghiottirti. È da questo che fuggivi, piccola? Io mi sono messa quel vestito che volevi sempre indossare e che minacciavi di rubarmi quando se ne sarebbe presentata l’occasione; il fucsia era il tuo colore, Marty. Invece tu… non prendertela con me ma tua madre è riuscita a metterti un completo, finalmente. Mi sembra di sentirti urlarle che non avresti indossato la cravatta neanche morta; be’, mi spiace deluderti, piccola. Ma se può rincuorarti ti sta davvero da schifo.

Dopo il funerale siamo andati a una sorta di rinfresco. Tutti mi guardano male; sarà per il vestito o forse perché sanno di noi due, di cosa eravamo, cosa facevamo. O meglio: credono di sapere, si dicono di sapere. Ma nessuno di loro può capire che esplosione di vita eri – no – con le loro strette vedute riescono a malapena a percepire il pulviscolo che si muove per la forza d’impatto. Quella polvere che sporca i loro elegantissimi abiti neri e ci disegna una strana smorfia di disgusto. Marty, che ci facciamo qua? Avevi promesso che saremmo andate al mare insieme, avremmo portato una bottiglia di vino e ci saremmo ubriacate, così, di giorno, come due senzatetto. Qua nessuno ti conosce, hanno sbagliato anche il tuo nome sulla lapide: Davide? Ma chi cazzo è Davide?

Tua madre e la sua smorfia di disgusto sono venute a parlarmi. Voleva sapere qualcosa di me e di te, dei tuoi ultimi giorni prima dell’incidente. Le ho detto che eravamo felici, che progettavamo un viaggio, volevamo andare a un festival in Portogallo. Mi ha chiesto se anche io sono. Ha detto proprio così: “Ma anche tu sei…?” Io devo aver fatto una faccia di quelle “da distratta” che ti piacevano tanto perché ha compreso di dover completare la domanda. “Anche tu sei uno di quelli?” Le ho sorriso e – saresti stata fiera – le ho detto che no, ero nata donna, proprio come sua figlia. La sua smorfia si è allargata e mi ha lasciata a godermi la nostra vittoria.

E insomma adesso sono qua, davanti alla tomba di un certo Davide. Hanno messo uno di quei passi della Bibbia che ti avrebbe fatto inorridire, giuro. Non puoi passare il resto della tua esistenza nella tomba di un uomo. E non puoi stare lì con questa roba scritta sulla tua lapide. No, correggo subito.

Davide Salerno

Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand’egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com’egli è.
(1Giovanni 3:2)

Martina

“She did it the hard way.”

Ecco: come Bette.

Un racconto di Gabriele Siciliano

Illustrazione di Marta Perroni

2 thoughts on “La Diva

Lascia un commento