Non ridere sempre

Si libera a fatica dello zaino, sbottona il grembiule.
«Corri a lavarti le mani e fai il bravo, che oggi c’è il nonno».
E quando c’è il nonno, Mimmo sa che per alzarsi da tavola deve mangiare senza smorfie anche il bianco del prosciutto.
Siede al proprio posto, con le mani pulite.
«Come mai così tardi?» chiede il padre. «Non ti sarai fermato al campetto?»
«Non ci vado più,» dice Mimmo, facendo la voce scura «da quando sono grande».
Il nonno lo spettina con la mano: «Bravo, il mio ometto».

Entra la madre, con un pentolone di pastasciutta fumante, e inizia a servire. I grandi parlano di cose loro. Dicono che Bugno non è un vero scalatore e che è un venduto perché fa il gioco dello spagnolo. Mimmo annuisce.
«Lo spagnolo è peggio di Merckx» fa il nonno. «Ma tanto è una pagliacciata e son tutti drugà. E tu per chi tifi, brigante?»
«Chiappucci». Mimmo sa che è il preferito del nonno.
«Bravo. Ora finisci la pasta e stai serio a tavola. Non ridere sempre».
Di tutti i grandi, compresi suo papà e il maestro Luca, il nonno è il più rispettato. In paese è detto il Generalissimo. Vive in campagna e ha un cortile grande, con due cani che tiene come figli.

Mimmo mangia in silenzio, mentre la madre fa avanti e indietro dalla cucina con le pietanze. Il nonno indica col mento il telecomando: «Metti sul Due, che c’è il comunicato».
Guardare il telegiornale, come fumare dopo mangiato, è una cosa da grandi. Mimmo prova a seguire, ma non sempre capisce. Il padre ce l’ha coi ladri, batte la mano sul tavolo: «Socialisti di merda».
La madre abbassa lo sguardo, Mimmo fa finta di non aver sentito ma gli è scappata una risata. Per fortuna, il nonno è preso dalla televisione: «Se stava a casa, era meglio».
Parlano di un giornalista morto in guerra. Dicono così, i grandi, quando qualcuno muore al telegiornale, oppure: «Uno in meno da mantenere».

Ora papà inizia, pensa Mimmo, e infatti: «Tutto a scatafascio, tutto a scatafascio».
E il nonno dice no con la testa.
«Quanta gramissia che c’è in giro, quanta gramissia».
Mimmo non capisce perché il telegiornale li faccia arrabbiare tanto, ma si sforza di seguire.

Ormai sa che non puoi più fidarti della gente e che al mondo nessuno regala niente. Che sembrano tutti amici ma come ti giri te lo mettono nel culo. Sa che le figurine a scuola hanno la droga e che quelli con l’orecchino sono mezzi cupio. E soprattutto che bisogna stare alla larga dagli albanesi, che non sono brava gente e vengono qui solo per rompere i coglioni. Quando in tele parlano degli albanesi, il nonno dice: «Se si avvicinano a casa mia, slego i cani».
E da quando ne ha visto uno al campetto, Mimmo ha smesso di andarci.

«Tutto a scatafascio,» ripete il padre «tutto a scatafascio».
E il nonno dice no con la testa.
«Ce lo meritiamo, ‘sto casino. Quello che era venuto a fare ordine, lo hanno appeso per i piedi».
Come Willy il Coyote, pensa Mimmo, e immagina qualcuno, venuto a riordinare la sua cameretta, mettere il piede nella trappola e penzolare da un ramo.

Gli arriva all’improvviso, che quasi la faccia gli cade nel piatto.
«Guarda tuo figlio, come ride sempre. Devi insegnargli a stare al mondo».
La madre si arrabbia: «Non si dà uno schiaffo a un bambino».
Il nonno ha ancora la mano alzata e lo fissa, sporgendosi dalla sedia.
«Deve imparare a stare serio o passa per scemo davanti al paese».
«Mio figlio lo educo io» dice la madre, e il padre: «È figlio anche mio».
«E allora di’ a tuo padre di non picchiarlo».
A Mimmo brucia la guancia, sente il pianto salire in gola.
«Un ceffone ogni tanto» fa il padre «lo raddrizza più che mandarlo dalla psicologa, come fa tua cognata. E tu non fare scenate, se piangi te ne do uno anch’io».
Mimmo trattiene le lacrime. Il nonno continua a fissarlo, la madre ripete: «Non si dà uno schiaffo a un bambino».

«Non sono un bambino!»
Gli esce tutto d’un fiato, così forte che i grandi si zittiscono e lui stesso si spaventa di quel silenzio.
Il nonno abbassa lentamente la mano e torna a sedere.
«È una questione di principio» dice, sistemandosi sulla sedia.
È la sua frase definitiva. La dice con quel tono calmo, senza alzare la voce, che chiude la faccenda.

Al nonno piacciono i cani proprio perché, se li educhi, non hai bisogno di alzare la voce. I gatti sono come le donne, dice, non sai mai cosa gli gira per la testa e non danno retta manco a bastonate. Per questo mette le esche avvelenate e se li vede gli tira col flobert. Odia i gatti più degli albanesi. I cani, invece, sono meglio di tanti cristiani, dice.

Intanto, sono finite le previsioni del tempo ed è cominciata la tappa. Gli uomini si sono messi a fumare. Mimmo aspetta il permesso di alzarsi mentre la madre porta il caffè e finisce di sparecchiare. Poi torna in cucina per lavare i piatti, ma si ferma sulla porta. Fa un mezzo passo avanti, tiene qualcosa dietro la schiena.

«Nonno ti ha portato un regalo ma, ora che l’hai fatto arrabbiare, non so mica se posso dartelo».
Mimmo capisce subito che è la stecca di cioccolato.
Guarda suo nonno da sotto in su, cercando lo sguardo più pentito possibile. Ma non osa parlare.
Il nonno si solleva dallo schienale. Spegne la cicca nella tazzina del caffè, soffiando dal naso l’ultima boccata di fumo.
«Questo brigante, ha mangiato tutto?»
Mimmo mostra il piatto pulito.
«Anche il bianco del prosciutto?»
«Anche la mela».

La mano aperta del Generalissimo si alza nell’aria, sopra il viso del nipote. Mimmo strizza gli occhi ma non ci casca. Il nonno sta ridendo.
«Bravo, il mio ometto» dice, e fa alla mamma l’occhiolino.

Illustrazione di Nora

Danilo Pettinati

Danilo vive a Torino e non ha fatto la Holden. Cammina molto, vive con due gatti e beve pastis. Si sente spesso inadeguato. Ogni tanto suona il pianoforte, in cuffia, e canticchia a mezza voce, per non far sentire che stona. Prima o poi supererà il fatto di essere nato e cresciuto in provincia.

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