Mimmo Zagaria

Di notte, poi, tutto era silenzioso, e a Mimmo non pareva neanche di lavorare. Al contrario, era come prendersi una pausa.

Allentava di un paio di buchi la cintura, slacciava la camicia e toglieva le scarpe. A volte, addirittura, si metteva in canotta. Poteva fumare alla scrivania e non aveva bisogno di scuse per allontanarsi ogni volta che doveva mollare un peto. Pure la gastrite, in quella calma solitaria, sembrava essersi scordata di lui. In quelle poche ore, finiva una mole di lavoro che nel caos diurno avrebbe impiegato giorni a sbrigare.

Di solito, verso l’alba, abbassava lo schienale e si concedeva una pennichella, usando una sedia come poggia piedi. Gli bastavano poche ore di sonno per svegliarsi fresco e pronto a ricominciare.

Mimmo era tirocinante alla Cleoni, ventinove anni appena compiuti, ma per via dei baffi tutti lo chiamavano “lo zio”. Quei baffi: aveva iniziato a farseli crescere all’ultimo anno di ragioneria e da allora non li aveva più tolti. Tanto che nessuno, compreso lui, sarebbe riuscito a immaginare il suo volto senza.

Col tempo, aveva organizzato un discreto guardaroba tra la scrivania e i faldoni. L’essenziale. Un piccolo trolley con un paio di camicie e un completo d’emergenza. Calzini e mutande puliti nel primo cassetto e, una volta usati, nel doppio fondo di una cartella, tra gli Unico e i 730 archiviati. Una volta a settimana li portava a lavare. Dai genitori, non potendo pagare un affitto.

L’unico guaio del vivere in ufficio era che gli mancava la comodità del bagno di casa. Ogni mattina, doveva far tutto prima dall’arrivo di Angela, la signora Cleoni, che alle nove meno dieci apriva lo studio. E, se l’intestino non faceva il suo dovere, Mimmo era nervoso per tutta la giornata. Perciò beveva una tisana al rabarbaro prima di coricarsi e metteva la sveglia almeno un’ora in anticipo, così da avere anche il tempo di radersi, aggiustare il baffo e darsi una rinfrescata, per rendersi presentabile. Rasoio e schiuma da barba li teneva nell’ultimo cassetto della scrivania, insieme agli infusi e a un pacco di kleenex.

                                                                       *

Una mattina, mentre tirava soddisfatto lo sciacquone, la luce del bagno si spense. Mimmo fece un paio di tentativi con l’interruttore, su e giù, su e giù. Niente: fulminata. Non è colpa mia, capita. Anche se di solito si scopre una lampadina bruciata nel momento di accenderla, pensò. È raro vederla spegnere mentre è in funzione.

Non era niente di grave, ma non sapeva dove trovarne una di ricambio e, al buio, non sarebbe stato facile radersi. Si tastò con cura i baffi, valutando la forma: erano troppo folti, lo sapeva, pieni di doppie punte. Avevano un assoluto bisogno di essere rifiniti.

Decise allora, non senza qualche titubanza, di farlo nel bagno delle donne.

Non c’era niente di male, vista l’ora. E poi nessuno l’avrebbe saputo. Raccolto l’occorrente, si incamminò, spinse cauto la porta. I gabinetti erano due invece di tre, ma l’antibagno era più ampio e, a prima vista, più luminoso. Anche lo specchio sembrava più grande. Mimmo si avvicinò al lavabo e poggiò pettine e rasoio sul bordo, come un chirurgo attento. Aveva il sapone in una mano e il pennello nell’altra.

Preparava la sua routine tutta maschile, in quel luogo riservato alle colleghe. Un rifugio di  nudità e sigarette di straforo, intimità che non gli appartenevano.

Stese la schiuma, fresca, massaggiando il viso… e se la porta si fosse aperta alle sue spalle? Ma no, che stupido, era solo nell’edificio.

Cacciò via anche la fantasia bizzarra di una collega, magari la signora Cleoni, impegnata in uno sforzo così intimo. Soffiò un po’ di schiuma dalla bocca e aprì il rubinetto, con la mano accompagnò i residui di sapone e rasatura verso lo scarico.

Angela… Quella donna aveva più attributi di tanti colleghi maschi. La immaginò a quello stesso specchio, chissà quante volte lo aveva fatto, gonfiare il seno per sistemare la camicetta e ravvivare il rossetto.

Fu così, mimando distratto quel gesto, che si trovò il rasoio impigliato nei baffi. Quasi imprecò. Lavò la schiuma e asciugò in fretta il viso. Per fortuna non si era tagliato, c’era mancato poco. Per i baffi, però, non c’era rimedio.

                                                                       *

Nessuna donna, in tutta la vita, gli aveva mai fatto un complimento.

Presto sarebbero arrivati i colleghi che, di sicuro, lo avrebbero preso in giro. Qualcuno avrebbe finto di non riconoscerlo, qualcun altro avrebbe chiesto come mai, quella mattina, lo zio non fosse al lavoro. Mimmo sapeva che sarebbero andati avanti per giorni, con le stesse, scontate, battute.

Ma ora, alle nove meno dieci, arrossiva, come non gli era mai successo.

— Finalmente, Mimmo! Stai meglio così!

Nessuna donna, in tutta la sua vita. Una sola volta, nell’ultimo anno di ragioneria, era andato vicino, ma davvero vicino, a perdere la verginità. Vedeva i suoi coetanei farsi uomini e lui non lo era abbastanza: quanto odiava quel moccioso che lo fissava dallo specchio!

Alzò il viso nudo e sostenne lo sguardo di lei, con un misto di orgoglio e implicita, segreta, complicità:

— Grazie Signora Cleoni, ehm… Angela! Era da un pezzo che dovevo… Che volevo farlo!

Un racconto di Danilo Pettinati

Illustrazione di Maria Sciannimanico

Danilo Pettinati

Danilo vive a Torino e non ha fatto la Holden. Cammina molto, vive con due gatti e beve pastis. Si sente spesso inadeguato. Ogni tanto suona il pianoforte, in cuffia, e canticchia a mezza voce, per non far sentire che stona. Prima o poi supererà il fatto di essere nato e cresciuto in provincia.

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