Breakfast with S.

Scende dal treno dove c’è il mare. Con sé ha un caffè sciacquato in un bicchiere da asporto e in spalla una borsa di tela. Dentro ci sono solo un libro, un cellulare e un cornetto.

L’acqua è vicina ai binari, c’è un bosco alle sue spalle, dopo la strada subito la spiaggia. La raggiunge coprendo il caffè con il palmo. È vuota e bianca: nessuno ha ancora calpestato la sabbia. Lo fa lei, per prima, andando a sedersi vicina alle onde.

Nemmeno lui ci mette molto ad arrivare al mare. Scende scale scavate nella roccia, si cala nel dirupo, verso i pescatori, dove gli edifici della città restano nascosti. Ha un thermos in mano e lo stesso libro di lei nella tasca posteriore.

Non sono amici di vecchia data, nemmeno due che si frequentano, però hanno bisogno di conoscersi, e hanno pensato che anche così potesse andare bene. Sullo stesso mare, ma davanti a un mare diverso. Cercando di ascoltarsi senza poterlo fare per davvero.

Aprono i libri. Cominciano a leggere a voce alta il primo di nove racconti. Leggono in differita, ma non se ne accorgono. Leggono senza sentirsi. Le onde sole sembrano ascoltarli. Qualche briciola rimane sull’angolo delle labbra della ragazza, gliela spazza via il vento; lui finisce di leggere poco dopo.

«Ti è piaciuto?»

Guarda il cellulare che ha lasciato sopra la borsa di tela. Non risponde subito, finisce quel che resta del caffè. Il bicchiere di carta non trattiene il caldo bene come il thermos, e fa più fresco sulla spiaggia che sulle rocce.

«Molto.»

Lui chiude il libro delicatamente, sorride, lo poggia al suo fianco. Lei continua a sfogliarlo incuriosita, pescando parole a caso tra le pagine che sfilano sotto le dita.

«Tutta la sua produzione al di fuori di H. è collegata. Tutto ruota attorno alle vicende di questi fratelli.»

È lei a chiuderlo adesso, di scatto, mentre lui continua.

« Li ho letti per la prima volta poco prima che partissi»

Lo chiude e lo poggia sulla sabbia, alcuni granelli scivolano sulla carta. Deglutisce.

«Sapere certe cose mi fa venire la nausea.»

Lui non capisce, non vede la sua faccia. Si preoccupa. Vorrebbe domandarle perché, cosa vuoi dire, forse non avrei dovuto dirtelo, invece le chiede: «Ti capita spesso?»

Lei si dà tempo per pensarci, ma sa già la risposta. Fissa il mare, quasi le sembra di distinguere il perimetro dell’Africa: ne osserva il contorno con rabbia, lo segue fino a che la terra non s’incurva e risale, molto più lontano, tornando dalla sua parte di mondo. Ma è solo un attimo.

«Sì, come quando mi hai detto che eri il protagonista dei tuoi racconti. E che molte delle cose che c’erano scritte erano vere. Che erano storie di quei posti lì.»

Sulla spiaggia compare una bambina di cinque o sei anni, i capelli annodati e la pelle abbronzata. Insegue un’onda mentre si ritira, pesca una conchiglia, la porta in salvo.

«Posso chiederti perché?»

«Puoi sempre.» Si ferma un attimo. «Solo un tipo di cose belle mi fa questo effetto. Quelle che sono anche ingiuste. Che, forse, sono belle proprio perché ingiuste. Nel senso che riescono a essere belle anche se tragiche.»

Vorrebbe rimanere immobile, ma un conato la spinge a continuare.

«Le sento. Le sento spremermi.»

Un’onda si riprende la conchiglia. La bambina la rincorre, entra in acqua fino alle ginocchia, la corrente la spinge verso la ragazza. Torna a riva con la conchiglia e gliela mostra. Ha dei vestiti di seconda mano, le unghie sporche.

«Leggiamo un altro, vuoi?»

«No, domani.»

La bambina si siede davanti alla ragazza, affonda gli stinchi bagnati sulla sabbia. Scava con la conchiglia, poi se ne pente e la ripulisce.

«Ti dà la nausea anche leggere insieme?»

«Di più che leggere da sola. Vuol dire che mi è piaciuto di più.»

Poggia il cellulare sul libro, la piccola abbassa lo sguardo e fissa gli oggetti con insistenza, poco prima di tenderle la conchiglia per uno scambio. Dice che a casa ce lo ha solo uno dei fratelli più grandi; lo dice in un italiano stentato.

Il cellulare vibra di nuovo.

«Sicura che va tutto bene?»

La bambina guarda nuovamente la tela, con sopra il libro e il cellulare.

Intanto la città si è accesa sopra di lui. Oltre le rocce ci sono edifici alti, scritte tondeggianti, semafori. Si alza e chiude il libro, se lo rimette nella tasca posteriore.

«Domani alla stessa ora, leggiamo insieme il secondo racconto, ti va? Anche se non puoi tornare al mare puoi sempre dirmi che ci sei. O possiamo provare qualcosa di diverso. Possiamo prendere un caffè in un bar.»

Il caffè è freddo accanto a lei, la bambina ancora con la conchiglia tesa, lo sguardo ora sul cellulare che vibra, ora sul libro mosso dal vento. La ragazza finisce per poggiare la mano sulla borsa di tela e avvicinarla lentamente verso la bambina, la borsa e quello che c’è sopra. La bambina pare esitare un attimo, poi scatta in avanti, sfila il libro da sotto il cellulare, lascia cadere la conchiglia, scompare.

Lei l’ha guardata andar via, senza capire. Il cellulare vibra ancora. Lo raccoglie e prende anche la conchiglia.

«Ci coordiniamo, e quando siamo pronti cominciamo a leggere. O possiamo scegliere una panchina, in un parco, dove c’è Wi-Fi. Una panchina sotto un albero magari.»

Adesso si alza di scatto e corre verso il mare. Vomita dentro a un’onda mentre l’acqua le bagna le scarpe di tela. Cade sulle ginocchia, scossa da un altro conato, finisce con i palmi delle mani in acqua. Sputa nel mare, mentre la corrente disperde i resti intorno a lei. Fa due respiri profondi, poi si sciacqua la bocca con l’acqua salata e si alza. Si scopre con la conchiglia ancora in mano, e il cellulare.

 

«Non voglio. Ho bisogno di sentire la nausea.»

Lo scrive con le mani bagnate; sale e granelli di sabbia rimangono sul vetro.

«Ho bisogno che sia tragico.»

Digita veloce, scivolando sullo schermo, preme invio quasi con rabbia e quando lo fa il cellulare le scappa di mano e cade in acqua. Tra le sue mani ora c’è solo la conchiglia,

Le onde hanno lasciato la colazione rimessa sulla spiaggia. È disgustosa, ma umana. A chiazze sprofonda nella sabbia bagnata, si mescola a qualche filo d’alga. Il cellulare è sprofondato più indietro, sul fondo, con le conchiglie.

 

Un racconto di Alessia Del Freo

Illustrazione di Alessia Arti

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