Matteo

Paolo mi schiaffeggia la faccia col suo grosso cazzo nero.

Sugli zigomi. Sulle guance. Sulle labbra.

Colpisce i denti. Si insinua nella mia gola come una mano nella sabbia.

Vedo il suo cazzo che entra ed esce dalla mia bocca. Il pube senza peli, le anche scavate, le cicatrici sulla pancia, e vedo nelle ferite mari deserti e gommoni stanchi e scafisti incazzati e credo che il nero del suo cazzo sia il nero del mondo che entra in ogni buco, che distrugge la pace, che distrugge gli Stati e non mi va bene e quasi serro i denti su quel grosso cazzo nero distruttore di bocche, profanatore di lingue, e più ci penso e più quel cazzo diventa piccolo e la mia presa si stringe, le mie nocche si fanno bianche e il sangue diventa freddo.

Paolo mi afferra i cappelli e mi mette tutto il suo cazzo in gola.

Con le mani mi sfrego il clitoride.

Quasi soffoco per Paolo. Potrei farlo.

Prendo fiato e lo guardo per quello che è: uno sfizio, niente di più.

E faccio scendere Paolo bagnato sul mio collo. Lo lascio incunearsi nelle mie tette. Lo guido verso i miei capezzoli che lui stuzzica col suo grosso grasso glande.

E Paolo torna nel mare, nel Mare nostrum, e sento il rumore del motore morente, il ronzio che si affievolisce a ogni onda e penso alle cicatrici e al nero che mi sta per entrare dentro, che è già entrato dentro e non vedo la fine di questa invasione, riesco solo a sentirla.

Scaglio Paolo verso la fica che è bagnata e umida come la maglietta di un naufrago.

E si schianta sulle labbra come onde.

E quasi mi arrendo con lui. Lo lecco per non pensare più.

Cresce di nuovo nella mia bocca e lo faccio scendere ancora.

Giù.

Passa sul clitoride e scende.

Giù.

Lo accompagno dentro di me.

Entra tutto e riesce. Lo faccio muovere come piace a me.

Gli do io il tempo.

Dentro.

Fuori.

Dentro.

Fuori.

E il mondo sparisce.

Con le mani cerco il suo corpo.

Lui non si fa trovare e continua.

Voglio che mi chiami zoccola e lui lo fa.

Voglio che aumenti il ritmo e lui lo fa.

Lui è mio.

E sento un calore salire dal ventre e spargersi nel corpo, invadere le arterie, bruciare gli occhi.

E Paolo che non si ferma, che non si fermerebbe mai se io lo volessi. E sento le onde che mi entrano dentro, onde nere, onde rosse e il calore che fugge dal mio corpo e il rumore del motore sempre più debole, scarico, e la barca che si sta fermando e Paolo è stanco e nel viaggio non tutti arrivano qui e menomale che altrimenti altro che cazzo sarebbe un’invasione di cazzi e la batteria si sta scaricando e Paolo è stremato è al limite e il calore ritorna dentro di me e il mare non mi colpisce più, si infrange su di lui, ora, che sta morendo nelle mie mani, e sento il corpo dentro la mia fica rinsecchirsi come sotto il sole, come sotto il sole in mezzo al Mediterraneo e il motore muore e Paolo muore.

Cazzo.

Cazzo.

Cazzo.

Le batterie si sono scaricate.

Le batterie sono affondate.

E Paolo non tornerà mai più. Paolo non è mai esistito.

Tiro fuori il vibratore che è umido, bagnato, salato e lo poggio sul comodino. Dal cassetto prendo le batterie nuove.

Ora sarà diverso.

Sarà Italiano. Sarà migliore.

Il migliore di tutti. Sarà Matteo.

Un racconto di Giulio Fenelli

Illustrazione di Melissa Brusati

Giulio Fenelli

Romano DOC. Da piccolo ha frequentato corsi di equitazione circense, golf, tennis, sci alpino e appenninico, e nel tempo libero scriveva poesie. Poi ha conosciuto il whiskey e le sigarette, e alle poesie non ci ha più pensato. Sogna in piccolo: gli basterebbe scrivere il nuovo Notturno Cileno e timonare il suo Pequod.

One thought on “Matteo

  1. La voce narrante esplode coraggiosa. Mi è piaciuto il linguaggio – quasi spregiudicato – in linea con l’argomento. Sono molte le riflessioni che emergono dal tuo racconto, nasci come poeta – ho letto nella biografia – non mi stupisce di aver trovato ermetismo in questo tuo brano. Molto visive le scene, ma non sempre palpabili; è questa la vera forza del racconto, credo: hai lasciato lo spazio in cui il lettore può muoversi.
    Ciao

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