Eidos

Spengo il telefono, vado in bagno, mi spoglio davanti allo specchio. Mi dicono sempre che devo prendermi un momento tutto per me. Mi lavo le mani. Con indice e pollice rimuovo l’iride che si stacca con facilità, come una lente a contatto. Prima l’occhio destro, poi quello sinistro. Quanti complimenti, per questo blu: getto le iridi nello scarico del lavandino. Se ci vedo? Sì, con il cuore vedo due bulbi oculari, sto bene. Intuisco.

Odio i capelli: sono così inutili. Mi rado a zero e penso che chiunque potrebbe pensare che il mio sia un gesto di disperazione alla Britney Spears. Ma non è così. Finché andrete dietro alle puttanate, però, questa cosa qui non potrete capirla. Toglietevi le iridi e vedrete che i capelli non vi servono a niente. A terra c’è un mucchio di ricci biondi. Quanti complimenti: li butto nel cesso e tiro lo sciacquone.

Prendo il fango e lo spalmo su tutto il corpo, sulla pelle, sul grasso: su tutta me. Lo strato è spesso e ci impiega tanto ad asciugarsi. Sono verdognola.

Con il fango mi sporco anche la faccia e le guance. La pelle tira, mi muovo e il fango si sgretola sul pavimento. Sento la pelle che prude, pizzica, brucia. Ho le mani ricoperte di fango e me ne infilo una in bocca, lo assaggio: è buono. Sono ancora troppo pulita, però; così ne mangio un po’ e ancora un po’ e un altro po’. Adesso va meglio.

Prendo dalla cucina un coltello molto affilato, torno in bagno e mi siedo sul bordo della vasca. Con la lama raschio via fango e pelle. Non pensavo di averne così tanta. Appoggio il coltello dietro di me, sul ripiano in ceramica. La pelle è arrossata, ma io non voglio, non posso lavarla. Ho le unghie lunghe e belle, così mi dicono, e lo smalto rosso. Inizio a grattare. Gratto e gratto. Sotto le unghie c’è pelle e c’è fango. Ci sono pezzi di carne e sangue.

Non riesco più continuare con le unghie. Provo con i denti, mordo per un po’, sento il sapore del sangue sulla lingua. Mordo la lingua e sento il sapore del sangue che si mischia con il sapore dell’altro sangue. Con i denti mi strappo le unghie e le sputo per terra. Prendo il coltello e passo alle cosce. Taglio via anche il seno, la pancia, l’interno delle braccia.

Voglio diventare sottile, voglio entrare chissà dove; forse nello scarico della vasca, ma ancora non ci entro. Taglio via tutto, anche i muscoli. Rimangono solo le ossa. Gli organi rotolano a terra. Li raccolgo e li lego a quello che rimane di me con una corda che ha quel tipico odore di spago che mi fa impazzire. Filtro il sangue, prendo dalla vasca i muscoli, i grumi di fango, i brandelli di pelle e il grasso. Li getto sul pavimento del bagno e li fisso per un po’.

La pelle del viso è ancora ricoperta di fango, gli occhi sono bianchi. Mi avvicino alla bacinella con l’acido e immergo la faccia, la testa pelata. Sento sciogliersi la carne, i muscoli facciali possono finalmente rilassarsi. Non ci sono più sguardi, alzate di sopracciglia, movimenti provocanti. Si è sciolto tutto insieme alla mia faccia. C’è silenzio.

Adesso posso rilassarmi anch’io: mi faccio un bel bagno caldo. Quand’è stata l’ultima volta che ho staccato per un po’? Non lo so, non me lo ricordo. Ora però sono sottile, essenziale, non cerco più. Me lo sono proprio meritato. Accendo le candele, scelgo la musica e inizio a cantare. Apro l’acqua della vasca e scaldo il sangue scuro. Chiudo l’acqua. Le candele sono all’aroma di sandalo. Lo sento, anche se non ho più il naso. La musica urla nell’aria. La sento, anche se non ho più le orecchie. Sono in piedi nella vasca, sciolgo i vincoli della corda, gli organi si disperdono nel sangue e io sono ossa. Solo ossa; eppure sento, sento come non ho mai sentito prima, sono come non sono mai stata prima. Finalmente sono io, e c’è pace. Sono al sicuro, ora. Mi immergo e chiudo gli occhi. Il sangue è caldo e vischioso. Mi sciolgo nel sangue che mi avvolge. Rido, rido forte, rido più forte ancora. Il cuore che galleggia davanti a me è finalmente caldo.

Un racconto di Maddalena Fingerle

Illustrazione di Giulia Canetto

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