Genesi

Roberto arrivò al funerale in ritardo. Le porte della basilica sbatterono dietro le sue spalle e decine di occhi gli si piantarono addosso per qualche secondo, giusto il tempo di squadrarlo. Avrebbe dovuto sedersi in prima fila, in uno dei posti riservati ai parenti stretti del defunto, ma aveva un certo affare in sospeso. Si accomodò a metà della navata. Il suo momento di notorietà era già svanito.

“Guarda là”, gli disse subito l’amico, “c’è una donna”.

Una generazione prima la Società per i Diritti degli Uomini aveva varato la Legge delle Due Costole. Da quel momento i rapporti tra maschio e femmina erano notevolmente cambiati. “Una volta non si pronunciava la parola donna con disprezzo, almeno non sempre”. Suo padre non aveva molto tempo libero, ma aveva comunque cercato di insegnargli i rudimenti della storia recente. Roberto si toccò la camicia all’altezza della cicatrice. La Legge delle Due Costole imponeva a tutti i nuovi nati uomini l’asportazione delle ultime due costole, in modo da potersi praticare sesso orale autonomamente. Una conquista che aveva permesso ai maschi di liberarsi definitivamente da una trappola capace di tenerli prigionieri per millenni: la vagina. Sostituendo un buco umido con un altro l’uomo aveva emancipato sé stesso dalla dipendenza che lo legava al genere femminile, senza rinunciare a orgasmi di qualità. Si era finalmente portato alla pari con la donna, che da sempre poteva mettere dentro di sé innumerevoli surrogati inanimati del pene.

“Oh, ci sei?”, Gianluca lo strattonò.

Roberto si scosse dal torpore e si voltò verso la donna. L’unica cosa che notò fu il vestito nero lungo fino alle caviglie. Non provava nulla per quell’entità sconosciuta, men che meno la volontà di scoprire qualcosa di più. Il Movimento Femminista aveva accolto con entusiasmo l’annuncio delle Due Costole, sicuro di aver finalmente debellato la mercificazione del corpo femminile. Da quel momento le città si erano divise in settori per sole donne e per soli uomini, compartimenti stagni che non comunicavano a meno che non fosse strettamente necessario.

Quando Roberto finì di ripassare le sue lezioni di storia il funerale si era concluso da un pezzo.

I rinfreschi erano sempre la parte peggiore, soprattutto per il nipote del fondatore della Società per i Diritti degli Uomini. Roberto scappò in bagno, ma non fece neanche in tempo a spalancare la porta. La donna aveva uno strano cappuccio nero in testa e si stava dando piacere con una specie di cetriolo argentato. Raggiunto il culmine, inclinò la testa all’indietro con un gemito.

“Non credo che si possano fare queste cose in pubblico”, disse il ragazzo.

Per lo spavento, la ragazza lasciò cadere il suo strano attrezzo. “Esprimere liberamente la sessualità è un nostro diritto”, strillò. Un liquido denso le colava in mezzo alle gambe.

“Ok, ok. Ma allora perché ti sei messa il cappuccio?”.

“Perché se io non vedo voi, voi non potete vedere me. E posso immaginare di essere in un posto qualsiasi, non infestato dagli uomini. È già tanto se non l’ho tenuto su durante la cerimonia”. Il disprezzo era reciproco, a quanto pareva.

Roberto aveva sentito dire che prima della Due Costole i luoghi pubblici disponevano di bagni solo per le donne e di altri solo per gli uomini. Una consuetudine che, dopo il raggiungimento dell’indipendenza sessuale, non aveva più senso ed era stata pertanto soppressa. Il maschio poteva indursi da sé un orgasmo perfetto e di conseguenza aveva perso interesse per la femmina.

“Farò finta di non aver visto”, disse, e si voltò per andarsene. La cicatrice sotto la camicia gli prudeva terribilmente e i pantaloni stretti lasciavano intendere che ci fossero altri tessuti in fermento. Roberto chiuse la porta a chiave, facendo più piano che poteva. Slacciò la cintura, lasciò cadere le mutande sulle caviglie e si inginocchiò. La donna era rimasta supina sul water, le mani alla cieca ricerca dello strumento di piacere perduto. Le si avvicinò finché le dita smaltate della sua destra non gli si chiusero attorno al pene. Sorridendo, la ragazza lo tirò a sé e in un attimo lui le fu dentro. Fece del suo meglio per mantenere la concentrazione e seguire il ritmo del suo braccio, ma ben presto ebbe voglia di andare più veloce, sempre più veloce. Le strappò il cappuccio dalla testa. Voleva vederla. Voleva che lei vedesse che il cazzo era attaccato a una persona. I suoi capelli biondi e sudati lo trasportarono eoni indietro nel tempo, o forse avanti, nell’Eden infinito. Lui era Adamo e lei era Eva, e insieme sarebbero stati genitori di una nuova umanità. Aveva pensato tante volte alla possibilità che l’indipendenza sessuale potesse portare all’estinzione della specie, ma mai così seriamente. Quello che stava facendo non era per niente come fare da sé. Non stava solo venendo, stava salvando l’umanità dall’oblio eterno, le stava dando una speranza per il futuro. Sentì la cavità umida riempirsi del suo seme.

Un secondo dopo era già vestito. Presto sarebbe entrato qualcuno e li avrebbe visti, o forse era già successo. Non seppe dare un nome al peso che sentiva sulle spalle: poteva essere il senso di colpa, la giacca sudata, entrambi. Chiuse la porta dietro di sé e fu fuori.

Non vide la donna scuotere la testa, raccogliere il dildo e finire il lavoro da sola.

Un racconto di Marco Broggini

Illustrazione di Verin

Lascia un commento