Fumava due pacchi di Marlboro ogni giorno. Lei e suo figlio fumavano insieme, come se ogni sigaretta accendesse un Ti voglio bene che diventava cenere subito dopo.
Il figlio ha trent’anni, ha perso i capelli e ha i bicipiti gonfi come carrube quando le lasci essiccare al sole. Esplodono, prima o poi.
E loro fumavano. Lei a stomaco vuoto, lui no.
Seduti a tavola, lei lo accudiva con i piatti pronti del supermercato. Lei non sapeva cucinare, per questo fumavano. In ogni Marlboro, lei chiedeva scusa e lui la perdonava.
«Passami l’accendino, madre».
Ti scuso, madre.
Lei ha i capelli come fieno bruciacchiato. Si vede che è vecchia perché la pelle del viso è lenta. Quando ride, i denti sono marci per le sigarette e l’ilarità si spegne in una tosse secca che lei maledice ogni giorno.
È stitica perché non mangia mai, tranne quando assaggia la pasta del figlio per vedere se è cotta o se manca sale. Poi si siede sul divano accanto al camino e sfila una sigaretta dal pacco.
Questo succedeva da vent’anni. Poi è andata così.
Una mattina di novembre lei si sveglia e barcolla. Fuori piove. Il legno del gazebo marcisce sotto l’acqua.
Dalla cucina il figlio sente la madre che piagnucola. È seduta sul divano impolverato a fumare.
«Che hai, madre?».
Lei ha l’addome gonfio solo da un lato, il sinistro. Come se si fosse nascosta un gomitolo intero sotto la maglia – così, per scherzare – e ora lo stesse coprendo con le mani, nel caso il figlio la scopra.
Il figlio la scopre e lei smentisce. Fuori c’è un cielo di domenica.
Lunedì
Il figlio accompagna la madre dal dottore di famiglia. Il dottore di famiglia la visita nelle parti intime, starnutisce, chiede scusa. Dice che è bene fare accertamenti in ospedale.
«Vi do il numero di un oncologo bravo», dice.
Il figlio ha la terza media e non sa che oncologo è una brutta parola.
Martedì
Lei non vuole andare in ospedale, dice che la massa si sgonfia.
Lui vede sua madre rotonda, come se aspettasse un bambino maligno.
Mercoledì
Poi in ospedale ci vanno, perché il figlio fa la voce grossa. Lei annuisce e s’infila la giacca. Mentre cammina verso la macchina si tiene l’addome.
All’ospedale il medico dice: «Signora, vorrei che questa notte restasse qui», come un formale invito d’amore.
Sulle pareti dello studio sono appesi quadri su Come prevenire il tumore all’utero. Lei li guarda.
Il figlio saluta la madre e le toglie di dosso la giacca di pelle, perché all’improvviso fa caldo. Rimangono lui e la giacca.
Giovedì
La anestetizzano, la operano, asportano e altri verbi chirurgici al presente indicativo. Poi cominciano quelli riflessivi: svegliarsi, toccarsi, piangersi, abituarsi.
Il figlio esce dal reparto e ripete: «Non morirà».
Venerdì
La madre si sveglia all’alba.
Poi il cuore si fa piatto, il figlio vede la linea dritta sul macchinario. Come se davvero una madre, quando muore, può essere linea retta all’infinito.
Sabato
Il figlio torna a casa con la giacca della madre.
Oggi, fuma da solo.
Un racconto di Sara Micello
Illustrazione di Raffaele Cataldo
One thought on “Calendario”