Uomini soffione

I tacchi avorio sono stretti, la punta del piede sinistro duole, l’alluce insiste a sovrastare l’illice

«Non sono pronta»
«Sì che lo sei. Sei bellissima, come non sei mai stata»

Il tallone è stato scorticato con bicarbonato di sodio e pietra pomice e a forza di grattare è arrivata alla carne viva

«Non è così che doveva andare»
«Fino a ieri era esattamente così»

I polpacci tirati sono polpacci da calciatore, duri, gonfi, non sono abituati ai tacchi alti, fortuna che il taffetà li nasconderà a dovere

«Dovevi esserci tu, qui»
«Ti preparo qualcosa da bere»
«Camomilla?»
«Gin tonic»

Sulle cosce depilate ha spalmato chili e chili di fanghi d’alga GUAM per evitare una cellulite che non aveva mai avuto, o almeno non abbastanza da dare fastidio agli occhi, alle mani o al cazzo di lui

«Ti ricordi cosa diceva papà?»
«Papà diceva tante cose»

L’inguine è passato al laser, non ci sono peli da ormai un anno, e a lui piace, dice che ora, quando gliela lecca, sa di pollo arrosto

«Papà diceva che c’erano due tipi di uomini»
«Soltanto due?»
«Gli uomini pietra e gli uomini soffione»
«Le sue analisi erano sempre profonde e attente»

Sulla pancia il ricordo di impacchi per togliere le smagliature di una vecchia taglia 50 sostituita in cinque anni da una meravigliosa taglia 38, una 38 contro la 44 di sua sorella con cui ora condivide solo qualche lineamento e la data di compleanno

«Gli uomini pietra sono bravi padri, seri e affidabili. Anche se severi»
«Lo diceva solo per giustificare il suo caratteraccio»
«Gli uomini soffione ti fanno vivere ogni giorno come se fosse il migliore della tua vita, sono ottimi mariti finché non ti tradiscono»
«Se le eccezioni superano la regola, non è una regola»

Le braccia sode e le ascelle al sapore di lavanda, le unghie curate, laccate di bianco, nascoste da un paio di guanti che brillano al sole

«Lo sai che ho ragione. Lo sai meglio di me»
«Ne vuoi davvero parlare adesso? Con gli invitati e tutto il resto?»

Il seno piccolo e cadente è sorretto da un reggiseno senza spalline, ben imbottito, e i capezzoli storti aspettano una mastoplastica che non tarderà ad arrivare

«Non sono stata onesta con te»
«È passato tanto tempo»
«Non avrei dovuto farlo. Ma mi piaceva. Tanto»
«Lo so, si vede. Sei qui ora»

E poi c’è il viso. Un viso sciapo, come la carne senza sale, guarnito da perfette sopracciglia ad ali di gabbiano, occhi azzurri all’ingiù corretti da eyeliner e ombretto scuro, labbra carnose, bagnate di lucido, perfette gote rosa, che sottolineano zigomi perfetti, capelli raccolti in una crocchia principesca, biondi ma forse non biondissimi, biondo cenere, biondo sporco

«Lui è un uomo soffione»
«Lo è stato»
«Gli uomini soffione non cambiano mai»
«Non ti ha mai tradita»
«Ha tradito te» 

Gli occhi guardano in alto, oltre il soffitto bianco, oltre il lampadario a sfera preso all’Ikea dieci anni prima da suo padre, cinque euro di lampadario di carta che secondo lui avrebbe tenuto per un sacco di tempo, e infatti eccolo lì, il lampadario, sottile ma resistente, più di suo padre, e poi lo sguardo si alza ancora un po’ per non far cadere una lacrima che altrimenti rovinerebbe tutto

«Non ce la fai proprio?»
«A fare cosa?»
«A non lamentarti. A non fare la bambina. Ad accettare ciò che hai nel piatto»
«Non essere cattiva con me»
«Hai tutto quello che volevi»
«Non oggi, per favore»

La porta della stanza si apre ed entra una donna, un metro e cinquanta senza tacchi, un vestito rosso magenta, un mazzo di fiori in mano

«È ora» 

La lunga gonna bianca non tocca il pavimento, è sollevata dalle mani di sua sorella, che sta ben attenta a non calpestarle il lungo strascico e non si preoccupa dell’angolo di vestito verde che la sposa le ha macchiato col tacco. La strada per raggiungere la macchina è breve e incasinata, come le scale a chiocciola senza ringhiera

«Perdonami»
«Non c’è niente da perdonare»
«Non è un uomo soffione»
«Nemmeno un uomo pietra. È solo un uomo»
«È solo un uomo.» 

Fuori dalla chiesa, la sorella le mette in testa il velo. Lo sposo attende la sposa all’altare, e quando la vedrà, mostrerà a tutti il suo sorriso da copertina. Ma la sposa è fuori, a pettinarsi, a sistemarsi ora il velo, ora il vestito, si spruzza in bocca uno spray al mentolo e muove il muso come le avevano insegnato a teatro

La sorella guarda al lato della chiesa i prati in fiore, cerca un soffione, lo trova e lo stacca da terra, soffia forte, finché tutti i petali si staccano dalla testa e vanno a riempire lo spazio circostante, e ride, ride, perché è sicura che quel figlio di troia del suo ex fidanzato, ben presto, rimarrà pelato

Illustrazione di Annachiara Vivi

Martina Marasco

Martina nasce a Varese il giorno dell'amore, circondata dai sette laghi e dalle parole di Stendhal. Non ha mai imparato a gestire la rabbia, le cose e le persone, così ha cominciato a scrivere. Ama i cani, al punto che di solito ci si fidanza e ride al pensiero di aver scritto la sua biografia in terza persona.

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