Giugiù

Mi fa male il braccio, mia madre mi strattona sempre quando dobbiamo partire, e penso che non è colpa mia se la mamma è sempre in ritardo. Il treno per Torino si sta riempiendo e lei dice Permesso, c’è un bambino; sono davanti alla scaletta della carrozza numero 9, lei sposta con il braccio le persone che la guardano e poi guardano me, Non lo vedete il bambino?, dice. Penso che è brutto essere un bambino, perché molte cose non puoi farle e nemmeno dirle, puoi chiedere, quello sì, ma mica tutto, e mica sempre. 

Quando saliamo le chiedo È questo il posto? È questo il posto? È questo? Lei controlla il biglietto e mi tira per il braccio, poi dice Eccoci qua, Giugiù, tu mettiti vicino al finestrino, giù dài, stai giù; si siede vicino a me e sbuffa, si guarda le mani. 

Io non sono contento, vorrei stare vicino al corridoio, perché lì mi sento incastrato, in trappola, davanti a me c’è una ragazza molto bella e allora cambio idea, adesso questo posto mi piace; lei mi sorride e dice Ciao.

Mia mamma è ancora in piedi e sposta il giubbino e le borse, il treno parte e io spero che lei cada per scoppiare a ridere perché questa ragazza mi sta guardando, ma non cade; mia mamma si siede, apre la borsa e tira fuori gli occhiali e la Settimana Enigmistica, cerca una penna, si massaggia una tempia con i polpastrelli, sbuffa. Cosa c’è scritto? Mi fai una domanda? Posso provare? Posso colorare?, e mentre lo chiedo, tiro una pagina che si strappa, mia mamma sospira, ha gli occhi lucidi e mi sorride; una mosca sbatte contro il finestrino, si sposta nervosa in tutte le direzioni, scende e si appoggia sul listello di alluminio e poi si calma cercando di risalire. La vedo fermarsi e correre veloce tra i campi e sbattere contro i tralicci elettrici, e spero che non impazzisca, che riesca a capire che è dentro e non fuori, rido perché è una cosa molto buffa. 

Il posto vicino alla ragazza è vuoto e lei appoggia la borsetta, guardo quel viso bianco bucato dagli occhi neri e mi sento la testa calda, mi bruciano le orecchie e spero che non diventino rosse, penso che se fossi una mosca non potrei diventare rosso e forse nemmeno caldo.

La ragazza mi chiede se mi piace disegnare, mia mamma risponde che sto imparando a scrivere e che sono molto bravo, Vuoi scrivere? Mi chiede. Io dico No, mi piace colorare, ma vado fuori, non sono bravo.

Ho fame, dico a mia mamma, Voglio un toast, ho sete, voglio un succo; mi alzo in piedi e mia mamma dice Giuseppe, giù. Stai giù, Giù.  

La ragazza prende la borsetta e la appoggia sul tavolino che ci separa, tira fuori un sacchetto di caramelle gommose ricoperte di granelli di zucchero e un succo di frutta, Ne vuoi una?, mi chiede.

Pensa che continua a essere molto bella, mi piacciono anche i movimenti delle sue mani perché sono calmi.

Giuseppe non mangia quelle cose, vero Giuseppe? Giugiù, vero che non puoi?, dice mia mamma e si alza per andare a prendere da mangiare e io spero che ci metta molto; la prima cosa che fa è sorridere, poi chiedo Come ti chiami e la ragazza risponde Eleonora. 

Io non parlo e guardo la mosca che cammina sul tavolino e poi si ferma su un granello di zucchero, io vorrei toccarlo, sentirlo sul polpastrello e mettermelo in bocca, vorrei essere la mosca e penso che non ho mai capito perché mi dicano che a volte divento strano. 

La ragazza dice Maledette mosche, lo dice piano, con un tono basso; continua dicendo che sentono lo zucchero, poi mi guarda e mi racconta che a casa ha la carta che si chiama moschicida e che è una specie di trappola mortale, muove le mani come fossero mosche, mi guarda dritto negli occhi, io non ce la faccio, guardo quelle mani che prendono velocità e vanno verso il finestrino, cerco la mosca e non la vedo, lei dice Bzzz, e fa sbattere il palmo aperto sul vetro, dice Arghh,  la mano non si stacca, si muove sempre più lentamente fino a morire. Dice che le piace guardarle morire lentamente, appiccicate, a volte le zampette si staccano, alza le mani e muove le dita e gratta l’aria. 

Moschicida è proprio una brutta parola, penso e sento che ho i lacrimoni, mi sento soffocare e non so se lei stia scherzando, magari vuole solo spaventarmi, penso che quella sia davvero una cosa che può far diventare matti, che ci vorrebbe molta forza per staccarsi, e anche per riuscire a sopravvivere; quando mia mamma mi tiene fermo, con forza, io vorrei scappare e lasciarle lì il braccio.

Le chiedo Qual è la tua caramella preferita? Lei infila la mano dentro al sacchetto, ne tira fuori una e dice Questa qui, alla fragola. 

Anche la mia, dico, ma non la posso mangiare perché divento matto. Però posso mangiare tutte le altre, e però, e però non tante, e le spiego quello che ha capito su certi coloranti e, mentre lo faccio, sono grande e considerato, perché lei è seria e mi sta ascoltando.

Allora sbrigati e prendine una, prima che torni tua mamma. Mia mamma, penso, guardo il corridoio, mia mamma ha in una mano il toast e nell’altra un bicchiere di succo, dice a Eleonora di nascondere il sacchetto di caramelle, lei lo mette in borsa e, mentre guarda i campi che sfilano fuori, mia mamma mi dà il toast e appoggia il succo sul tavolino, È alla pera, dice, facciamo un’eccezione per oggi; la mosca inizia a volare, si posa sul mio naso e lei la scaccia con una mano e ride, mia mamma muove le mani, le muove come sempre troppo in fretta, colpisce il succo invece dell’insetto e lo rovescia sul tavolino e addosso a me che inizio a tremare e mi pare proprio che anche la mosca tremi di contentezza per tutto quel ben di Dio. Eleonora tira fuori dalla borsa delle salviette e dice a mia mamma che ci pensa lei, che non è successo niente, mi prende per mano e  dice Vuoi venire con me in bagno? Così ti pulisci e io, intanto, mi sistemo il trucco. 

Mia mamma dice di no, che ci pensa lei, dice Giù, tu stai giù, stai calmo, guarda che disastro; riempio la carrozza con un urlo, Eleonora guarda mia mamma allargando gli occhi e poi guarda anche me. Mia mamma le fa cenno di andare con una mano, si guarda intorno e incrocia qualche sguardo che si abbassa subito.

Io corro, mia mamma non mi dirà di stare giù, sono libero, immagino Eleonora corrermi dietro e quando arriviamo davanti alla porta del bagno le dico che è molto bella e le chiedo se è sposata o fidanzata. Lei mi dice Te lo dico dopo, adesso vieni qui che ti pulisco e, mentre tiene aperta la porta con il corpo, prende della carta dal dispenser e me la passa sulla maglietta e sulle braccia, sul collo, le chiedo di rifarlo e penso che mi piace molto, poi lei mi fa entrare e mi bagna il viso con dell’altra carta, adesso asciugati, gli dice. Tu ti trucchi? Devo uscire? Posso stare qui? Devo stare giù? Mi siedo lì.  Eleonora risponde che era solo una scusa e che no, non è fidanzata, e allora le chiedo se possiamo essere fidanzati fino alla fine del viaggio e lei dice Sì e mi dà una caramella alla fragola da tenere per sempre in tasca, Non mangiarla però, sennò diventi matto e io le rispondo che lo sono già. Eleonora mi prende la testa con le mani e mi dà un bacio sulla fronte, poi dice Andiamo dalla mamma, sei un bravo bambino. Adesso mi piace che mi chiami bambino e corro ancora, veloce, sbatto contro i sedili, quando arrivo al mio posto, mia mamma sta finendo di pulire, mi punta l’indice, muove le mani a scatti, le chiude in un pugno e diventano tutte bianche, dice Maledette mosche, io prendo un respiro grande e mando giù, mi sento gli occhi lucidi, la mosca è sopra una caramella uguale alla mia, mia mamma dice, Guarda come si fa, e prende la Settimana Enigmistica, la arrotola e ripete, Guarda come si fa, e poi le zampette si muovono, grattano l’aria, e vedo la mosca che cade sul sedile, immobile, mia mamma che dice Adesso stai giù, Giù.

Un racconto di Alessandra Piccoli

Illustrazione di Marco Pellino

Lascia un commento