Chiccolandia

Era uno dei tanti pomeriggi estivi privi di schema, col sole libero di esprimersi in un cielo orfano di nuvole, l’aria ferma, quasi arrendevole, e alberi che proiettavano dolci ombre alle quali riposare.

Chicco se ne stava con la mano destra poggiata sulla fronte, per schermirsi gli occhi dalla luce, e fissava un lato della lunga strada sterrata antistante la villetta dei suoi, mentre le cicale invadevano il silenzio col loro canto avvolgente.

Comparvero tre ragazzi in mountain bike, gli transitarono davanti e sparirono all’orizzonte. La strada era piena di ghiaia e costeggiava una vecchia, malmessa ferrovia.

Chicco li salutò con un cenno della mano e rimase imbambolato per qualche minuto, a fissare la polvere alzata dalle biciclette. Aveva undici anni, denti da coniglio, pelle chiara e viso chiazzato di lentiggini. 

Scalciò una lattina e la rincorse. Poi lo vide, un sasso multicolore. Lo raccolse e se lo rigirò tra le mani. Non aveva mai visto niente del genere, i colori erano iridescenti, quasi pulsanti. Se lo conservò in tasca e rimase a bighellonare fino a ora di cena.

«Dove sei stato?» gli chiese sua madre. Stava finendo di apparecchiare.

Lui non rispose.

«Chiama tuo padre, per favore, e digli che è pronto».

Chicco obbedì. Poco dopo erano tutti e tre seduti a tavola, con una cotoletta fumante nel piatto.

«Dove sei stato?» gli chiese nuovamente sua madre.

Lui scrollò le spalle.

«Sei rimasto tutto il tempo sulla strada ad aspettare di veder passare quei ragazzi, vero?»

Ancora silenzio.

«Be’, non avrai nessuna bicicletta, per cui è meglio se ti abitui all’idea».

«Tua madre ha ragione, non avrai nessuna bicicletta. È troppo pericolosa».

A Chicco si inumidirono gli occhi. Incrociò le braccia davanti al petto e chinò il capo.

«Mangia» gli disse sua madre.

«Non ho fame».

«Non avrai nessuna bici».

«Mangia, Chicco, o domani non esci» aggiunse suo padre.

Allora mangiò, poi corse a lavarsi i denti e si chiuse in camera.

«Non mi piace che si chiuda in camera» disse sua madre.

«Diamogli tregua, non ha ancora superato questa storia della bicicletta».

Lei fissò la porta chiusa, poi annuì.

Chicco si sdraiò sul letto e fissò il soffitto buio, poi tirò fuori quel sasso, che ora emanava un fievole bagliore, e lo rimirò a lungo. 

Ripensò ai ragazzi sulle mountain bike e una bicicletta si materializzò ai piedi del suo letto. Era multicolore, la bici, come il sasso, ed emanava lo stesso fievole bagliore.

Chicco sgranò gli occhi, osservò il sasso, poi la bici, e un grande sorriso gli si allargò sul volto. Subito si mise in sella e strinse con forza il manubrio. Ridacchiò al buio e provò i freni, premendo entrambe le leve.

Per evitare di essere scoperto, fece sparire l’incantesimo stringendo il sasso nel pugno, poi si mise a letto e si addormentò.

Il mattino seguente, sua madre entrò in camera e lo trovò rannicchiato, a sbavare sul cuscino, con la mano destra chiusa a pugno.

Gli diede un leggero strattone. «Chicco?»

Chicco aprì gli occhi.

«La colazione è pronta».

Si alzò, sempre tenendo chiuso il pugno, e sparì in bagno. Quindi si spostò in cucina, si sedette e iniziò a mangiare. Sua madre ora se ne stava appoggiata all’acquaio.

«Cos’hai in mano?» gli chiese.

«Niente».

«Allora perché tieni il pugno chiuso e mangi con la sinistra?»

«Non ho niente».

Gli si avvicinò. «Fa’ vedere».

Chicco si portò il pugno sotto il sedere.

«Vuoi che chiami tuo padre?»

«Non ho niente».

«Allora fammi vedere».

Chicco sfilò la mano da sotto il sedere e l’aprì rivolgendo il palmo alla madre. «Visto?»

«Alzati e fammi vedere cos’hai sotto il sedere».

Lui non si mosse.

«Mi sto innervosendo. Ora conto fino a tre, poi chiamo tuo padre».

Alle spalle della donna comparve un uomo che brandiva un’accetta. Sia l’uomo che l’arma erano multicolori.

«Uno».

L’uomo mosse un passo.

«Due». 

Issò l’accetta fin sopra la sua testa.

«Tre!»

L’accetta ricadde con forza sul collo della donna e svanì appena prima dell’impatto insieme all’uomo che la brandiva. Chicco aveva di nuovo la mano sotto il sedere e il sasso stretto nel pugno.

«Lo hai voluto tu. Filippo!»

L’uomo si precipitò in cucina. «Che succede?»

«Tuo figlio nasconde qualcosa sotto il sedere».

L’uomo si avvicinò alla moglie e vide che, in effetti, suo figlio stava nascondendo qualcosa. «Chicco…» disse, con uno sguardo che avrebbe convinto un pinguino a lanciarsi nel fuoco.

Chicco divenne tutto rosso. Poi, lentamente, si alzò dalla sedia e sollevò le mani sopra la testa, allargando per bene le dita.

Sua madre controllò la sedia sia sopra che sotto. «Non c’è niente».

«Non lo vedete?» chiese lui.

«Cosa?» risposero in coro i suoi.

«Il sasso». Lo indicò.

I suoi si scambiarono un’occhiata, poi sua madre disse: «Che sasso?»

Chicco lo prese in mano e glielo mostrò. «Questo».

Suo padre scoppiò a ridere e gli scompigliò i capelli. «Che scemo».

«Non è divertente» disse sua madre, e scosse la testa. «Puoi scordarti anche la racchetta da ping-pong. Vediamo se continui a fare lo spiritoso». 

Chicco fissò il sasso nel suo palmo, poi i genitori, non sapeva cosa pensare. Non lo sapeva proprio.

L’uomo con l’accetta ricomparve.

Un racconto di Gabriele Valenza

Illustrazione di Nora

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