Via Taranto 260

Alle 8.16 Giovanni il matto si affaccia su via Taranto 260. Se il vento fischia o il sole cuoce, Giovanni il matto puntuale alle 8.16 apre metà finestra e si affaccia. In quella casa ci abitava con Maria la napoletana, sua zia. Matta pure quella. Pare un santo Giovanni il matto che si sporge solo per metà busto. Le gambe nascoste dalla finestra di ghisa dorata, la faccia ingrugnita dal vento e dal sole, le dita incastrate tra loro lasciate penzolare sulla cinta dei pantaloni. Giovanni il matto indossa il pigiama, blu a rombi bianchi, ma sopra ci mette la cinta e la giacca marrò. Quando fa freddo si copre con uno scialle di lana verde, trapuntato di fiori rossi, che deve essere stato di sua zia Maria la napoletana, matta pure quella. Di Giovanni il matto si sanno due cose: la prima è che sua zia Maria la napoletana se l’era portato giù da Napoli che era ancora un bambino, la seconda è che non è matto davvero.

Era un bambino pulito pulito, tutto preciso e ben fatto Giovanni il matto che non era ancora matto. Maria la napoletana faceva la cantante e quando le bombe hanno iniziato a cadere come cadono i denti ai vecchi, s’è preso il figlio di sua sorella e se l’è portato in via Taranto 260. Più a sud. Maria la napoletana poi lo aveva chiuso là dentro, gli aveva messo il pigiama e gli aveva detto di non aprire a nessuno ché anche se fuori, più a sud, non c’erano bombe e il sole coceva i fichi secchi stesi sulle griglie di ferro e l’aria sapeva di foglie di tabacco e sale, lui se ne doveva stare chiuso, solo, senza parlare. Un remita come diceva Maria la napoletana, zompando una e che non le serviva allo scopo. Aveva imparato quella parola dalla santa sua, Maria Egiziaca, protettrice delle prostitute pentite, che aveva camminato da sola per quarantasette anni. Quarantasette anni aveva Maria la napoletana quando decise di smettere di stare per strada e a cantare e mostrare le cosce. E allora s’era pentita, s’era presa il figlio di sua sorella, Giovanni, e se l’era portato in via Taranto 260. Casa di Maria la napoletana era stata di un signore amico suo per il quale lei aveva cantato e cantato e alla fine si era fatta dare le chiavi e i biglietti del treno, s’era preso il bambino ed era fuggita più a sud. Sembra una torre la casa di Giovanni il matto che fu di Maria la napoletana, matta pure quella. La torre di guardia in via Taranto 260.

La seconda cosa che si sa e va ridetta per bene è che Giovanni il matto non è matto davvero. Finge, lo dicono tutti che finge, vuole la previdenza sociale, la cassa del mezzogiorno, i soldi delle suore clarisse e quelli del sacro cuore di Gesù. Quelli di via Taranto lo sanno che finge, e lo sanno perché Giovanni il matto ogni martedì va a comprare i fagiolini verdi da Pina che vende verdura nell’angolo in cui via Taranto diventa campagna. Ogni martedì, preciso come uno che matto non è, Giovanni il matto si veste di nuovo: si mette i pantaloni, le scarpe e persino i calzini di filo, la camicia e la giacca marrò. Si lava la faccia e scende i tre gradini della sua casa turrita, in tasca ha i soldi giusti giusti per pagare un chilo di fagiolini verdi. Fa centododici passi e arriva da Pina che vende verdura e lì aspetta il suo turno. E che i matti aspettano il turno? Così dicono, e che i matti sanno quando è giorno di fagiolini verdi? Il martedì Giovanni il matto sorride: Pina che vende verdura gli dice Come stai Giovanni? E Giovanni il matto allora sorride e poi pesta gli stessi suoi centodieci passi al contrario, risale la torre e si mette zitto e buono con i fagiolini verdi seduto là fuori. Zitto e buono con il coltello spicca i fagiolini a uno a uno. Taglia prima la testa e poi la coda arricciata all’insù. Prima la testa e poi la coda arricciata all’insù, come diceva Maria, matta pure quella. Prima la testa e poi la coda arricciata all’insù. E quelli dicono Finge, non è matto davvero. Prima la testa e poi la coda arricciata all’insù.

Maria la napoletana è sparita un martedì di maggio, è uscita di casa alle 8.16 e non è tornata mai più. E Giovanni il matto l’aspetta ancora, issato come una bandiera marcia oltre i tre gradini che danno sulla porta finestra di casa sua.

Giovanni l’aveva cercata: se n’era andato per strada a chiamare Maria la napoletana con tutto il fiato fiacco di remita che aveva nel petto. E dietro la gente cominciava a chiamarlo matto, matto, quel matto di Giovanni il matto. E nel cuore gli batteva il nome di Maria, matta pure quella. La trovò, di martedì, dopo una settimana e sette minuti, sfiorita come un fiore di papavero d’inverno, appesa come una foglia di tabacco, con lo scialle di lana verde trapuntato di fiori rossi e senza manco più una canzone da cantare e con le cosce piene di spine e bava, e pace all’anima sua.

E da quel giorno divenne matto, matto davvero che aveva urlato e patito e si era appeso anche lui insieme a Maria la napoletana sfiorita di maggio. E senza dire manco una parola se n’era tornato a casa sua, in via Taranto 260, Giovanni il matto diventato remita che dalla sua torre di guardia ogni giorno alle 8.16 s’affaccia a sentire l’odore dei papaveri che a Maria la napoletana, matta pure quella, erano cresciuti nel petto un martedì di maggio.    

Un racconto di Giulia Maria Falzea

Illustrazione di Lola

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