Il profilo di Mirta Forni

A mio nonno Tullio, ottantun anni, è rimasta solo la villetta a Favignana. È vedovo dal ’99 e cerca di andarci più che può, specie in inverno, e lo capisco, perché a Bologna noialtri della famiglia non lo caghiamo mica tanto. È un bel testardo, frigge senza aprire le finestre, dice sì sì ai dottori e poi non prende le medicine che gli prescrivono, piscia fuori dalla tazza e non se ne accorge. Difende la sua indipendenza in modo bigotto e malinconico. Come mai sia ancora arzillo e in salute è il grande mistero della famiglia.

Pure stavolta all’aeroporto ci va da solo. Quell’aeroporto ormai è la sua seconda casa e fin ch’è contento lui siamo contenti tutti. Come d’abitudine, va a svuotare la vescica prima di imbarcarsi. Uscito dal bagno percorre con inerzia il sentiero tra le panchine metalliche del terminal. Nulla cambia mai, in aeroporto. Per Tullio è il luogo più rassicurante della città. Il vasto soffitto, il tabellone degli orari, le pinne di squalo degli aerei che in lontananza si muovono sulla pista. Prende posto davanti al gate 18, volo Alitalia AZ349 per Trapani e aspetta senza giornale né settimana enigmistica, ché d’inverno non gli dà gusto scrivere le letterine nei quadrati con addosso giacca e coppola di lana che, stiamone pur certi, toglierà solo dentro la cabina.

Il torpore tuttavia diventa agitazione nel momento in cui scorge un’anomalia, e le anomalie mio nonno le nota subito perché non le sopporta. Quello che vede è un volto familiare. O meglio, il profilo di una donna, sua coetanea, naso piccolo, capelli bianchi ben curati. Secca secca, elegante. La signora cammina a piccoli passi tacco-punta ma niente gobba e niente nodi d’artrite alle mani. Vaccaboia, se la conosce. Forni Mirta, la sua prima fidanzata alle scuole medie, figlia di Forni Oreste, titolare della ditta di lavaggio e stiratura di tende da teatro.

Mirta è un anno più anziana di Tullio. Che si piacessero, nel ’52, era materiale da pettegolezzo scolastico, i compagni li spinsero a darsi appuntamento sulle scale, dove Tullio tossì: Vuoi essere la mia fidanzata? Mirta rise e rispose Sì mentre, già di spalle, scappava in classe al piano di sopra. Fu l’unico dialogo che ebbero. La relazione platonica durò ben tredici giorni. Presto l’anno scolastico finì e Mirta passò al liceo. Tullio, neanche a dirlo, già a quell’età era un gufo malinconico. Gli rimase un ricordo agrodolce, via via sempre più sfocato, una leggenda intima, di felicità mai consumata.

Aveva ventisei anni quando seppe della tragedia che aveva colpito Mirta. Era già sposato con nonna Eva e lavorava al centro stampa del Carlino, mia madre aveva il pannolino e mio zio ancora poppava. Un collega della stamperia, vecchia conoscenza di scuola, gli aveva raccontato una storia macabra in cui Mirta Forni – ti ricordi che facevate il filo? – era finita bruciata, forse morta, sotto le presse con cui stiravano le tende dei teatri. Nonno Tullio non se l’era mai scordata, quella storia, tanto più che anche lui lavorava con le presse, in stamperia, e ogni giorno, per molti mesi, si era immaginato il bel visetto di Mirta Forni schiacciato là sotto.

Adesso è seduta a un metro da lui, Mirta Forni, da mio nonno Tullio, quello zuccone dagli occhi mezzo ciecati perché dall’oculista non ci va, lui, figuriamoci; quel testone che ora, davanti a Mirta Forni, si pente in un sol colpo di tutta la poca volontà nel mantenersi curato e presentabile.

Deve agire. Deve parlarle. A ottantun anni mica può perdere altro tempo. Si contorce nella scelta delle parole con cui rompere il ghiaccio. Non gli esce un fiato. Con quella voce catarrosa, poi, cosa pensa di ottenere?

Mirta Forni guarda distratta la settimana enigmistica – sì, lei ce l’ha – ma anziché scrivere, parla: Ti ho riconosciuto appena sei spuntato dal bagno. Invece tu chissà se hai capito chi sono.

Tullio è euforico, ha di nuovo tredici anni, gli batte il cuore come sulle scale della scuola. Si sente umiliato per non aver parlato per primo.

Pensavo ch’eri morta, dice, e subito si schiarisce la gola. Nessun ciao, nessun ti trovo bene. Pensavo ch’eri morta. Le parla come se il 1952 fosse finito da dieci minuti.

Mirta ride coprendosi la bocca, un po’ chioccia, è pur sempre una nonna, e finalmente si gira per guardarlo. Il lato destro del volto esce dall’ombra e con esso anche la cicatrice dell’ustione ovale che parte dal sopracciglio e si allarga per l’intera guancia fino ad arrivare all’angolo della mandibola. La pelle è una ragnatela di filamenti incollati uno sull’altro. L’occhio bruciato appare giallo e più collassato rispetto a quello buono.

Tullio inorridisce, gli aumenta la sudorazione. Ma si mortifica per averla guardata con ribrezzo, tanto che si disferebbe della villa di Favignana pur di ottenere il suo perdono.

Ehh lo so, dice Mirta, sei sempre stato un fifone.

Come fa a chiederle scusa, mio nonno Tullio, che non gli esce mezza parola, che non è manco sicuro di avere davanti una signora o un fantasma?

È solo una vecchia cicatrice, ride Mirta, toccando un braccio al Tullio tredicenne.

Tullio si toglie la coppola di lana, anche se significa mostrare la pelata tutta macchie grigiastre e angiomi. Si asciuga il sudore con la manica e fa quello che a tredici anni non ebbe il coraggio di fare.

Ora, però, devo confessare: ho mentito.

Tullio non è mio nonno e Mirta Forni è un nome di fantasia. Ma la loro storia è vera. Per ascoltarla fino alla fine ho perso il mio volo per Vienna. Non mi è dispiaciuto, ho avuto il tempo per riordinare sul cellulare gli appunti presi mentre origliavo. Quando ho rialzato gli occhi, Tullio e Mirta erano spariti dentro il volo AZ394 per Trapani. Mi piace immaginare che quello zuccone le abbia almeno tenuto la mano durante il decollo.

Un racconto di Luca Laudati

Illustrazione di TeppaElle

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