Forme diverse di volo

La leggenda dimenticata sull’inaugurazione dell’Aeroporto di Bykovo nel 1932 mette insieme un aereo tozzo e il suo progettista, uno scrittore per bambini, una fotografa con la vena da poetessa.

Un biplano Polykarpov I-15 nuovo di zecca dipinto di rosso scarlatto e un dandy allampanato apparvero nello stesso momento sul campo di volo intonso, l’uno dal cielo, l’altro dalla porta principale. Procedevano in direzioni convergenti quasi che l’aereo e l’uomo dovessero, a un certo punto, incontrarsi naso a naso.

Lo scrittore era alto, slanciato, con gli occhi di ghiaccio, sul capo un minuscolo cappello. Procedeva attraverso la marmaglia proletaria con lunghi passi, abbigliato con eleganza sfrontata, come raramente si vedeva a Mosca. Se solo quella gente semplice avesse avuto occhio per il taglio o per i tessuti, avrebbe capito subito che era solo un’accozzaglia di abiti miserrimi, accostati con tale maestria da sembrare arrivati da Londra il giorno stesso. Il cittadino Daniil era di ritorno da un anno di esilio a Kursk a causa di certe bizzarrie che scriveva; roba formalista, incomprensibile, certamente borghese.

Sopra i sobborghi di Mosca l’aereo vibrò, puntò il naso a terra e cadde, rialzò il muso appena in tempo per sfiorare l’erba più alta. La folla ululò. A fatica il pilota riprese il controllo e costrinse a forza il velivolo a scendere più docilmente. Lo fece rimbalzare due volte sull’erba rada finché le ruote rullarono fino alla fine della pista. Era un macchinario tozzo, con un grande naso rotondo, l’ala superiore piegata al centro come corrucciata che gli era valso il soprannome di Gabbiano. Il pubblico era perplesso: quella macchina instabile non sembrava adatta a contrastare la minaccia imperialista. E in più portava il nome del suo progettista, Polikarpov: un atto d’orgoglio non conforme a una società socialista.

Il pilota si levò gli occhiali e il casco da aviatore, sospirò e si guardò intorno. Nikolay Polikarpov, che aveva condotto per quel volo inaugurale il prototipo che lui stesso aveva progettato, si accorse di non aver pensato ad un sistema semplice per scendere dal velivolo. Dalla folla immobile sbucò il dandy allampanato, misurando il campo a lunghe falcate, precedute da un bastone da passeggio.

Il pilota, preoccupato, mormorò: «Cos’altro mi deve accadere?»

Due anni prima lo avevano arrestato e condannato a morte, con l’aggiunta di dieci anni di lavori forzati. Solo dopo aver dimostrato di essere un ottimo progettista di macchine volanti, la sentenza era stata sospesa. Giusto in tempo per dare foggia al gabbiano grassottello.

L’uomo elegante si accostò all’aereo e alzò lo sguardo verso il pilota.

«Buongiorno, cittadino. Manovra meravigliosa! Sono il cittadino Daniil Ivanovich, scrittore per bambini. Vedo che avete bisogno di aiuto per scendere da questa bellezza.»

Appoggiò la schiena alla fusoliera e aggiunse:

«Mettete i piedi sulle mie spalle, poi vedremo come fare.»

Nikolay scavalcò il bordo del posto di guida e appoggiò la suola dello stivale da aviatore sulle larghe spalle di Daniil. Afferrò le mani che questi gli offriva, quindi cercò un appiglio anche per l’altro piede, in precario equilibrio. Sembravano due artisti del circo che si preparavano a un numero di acrobazia. Il pubblico, numerosissimo, tacque. Nel grande campo di aviazione verde di erba appena germogliata c’erano solo loro tre: un aereo tozzo, uno scrittore lungo, un progettista sopravvissuto.

Dalla folla silenziosa si staccò la quarta figura della leggenda: una donna alta e sottile, con i capelli raccolti, la frangia dritta, un naso importante. Portava con sé, come una borsetta, una piccola macchina fotografica a soffietto, fresca di fabbrica.

«Guardate,» disse Daniil, «La cittadina Anna verrà ad immortalare il momento.» Nikolay prese coraggio, drizzò la schiena e lasciò le mani di Daniil. L’immagine dei due uomini, l’uno sulle spalle dell’altro, accanto alla meraviglia tecnica ispirò la donna, poetessa prima ancora che fotografa, che declamò improvvisando:

Io sono la vostra voce, il calore del vostro fiato,

il riflesso del vostro volto,

i vani palpiti di vane ali.

«La cittadina Anna è bravissima, non trovate?»

Nikolay Polikarpov non trovò altro modo per onorare tanta bellezza che spalancare le braccia. La cittadina Anna sorrise e scattò la foto.

Quando il pilota e progettista fu finalmente a terra strinse la mano ai due salvatori.

«È stato un momento bellissimo» ammise.

«Il cittadino Daniil è un grande autore di racconti per bambini» disse Anna «e ne trarrà una storia meravigliosa.»

Daniil scrollò le spalle e bisbigliò:

«Il cittadino Stalin mi permette solo di scrivere storie per i bambini.»

A quel punto Nikolay Polikarpov alzò le mani.

«No, per favore, non parliamo di queste cose, sono già risorto più di una volta.»

Dette queste poche parole i tre scomparvero dalla vista e dalla memoria. Si dissolsero tra il pubblico vociante già distratto dall’apparizione di un altro aereo o dalle voci dell’arrivo di una colonna di auto ufficiali al seguito di Koba, lo zar georgiano. Non ne rimase traccia nei racconti dei reporter, nei rapporti dei chekisti, nelle relazioni dei delatori. Neppure la fotografia fatta da Anna fu mai ritrovata. E del Polykarpov I-15 con l’ala corrucciata restò soltanto una traccia scura, l’ombra di un’ombra sulla pista intonsa dell’aeroporto nuovo di zecca della più maestosa città del paradiso socialista. 

Un racconto di Livio Milanesio

Illustrazione di Francesca Paola Turco

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