La neve è la madre del silenzio

In quel dicembre non troppo lontano verso la metà di questa decade, Michele era alla guida per l’ultima volta. O almeno, così aveva deciso quando, dopo una giornata ai mercatini di Natale a Bolzano, prima di infilarsi nella vecchia Lancia con la sua buona Greta sistemata al posto del passeggero, aveva lanciato uno sguardo indagatore verso le nuvole in alto, che già iniziavano a sfibrarsi in piccoli fiocchi biancastri.

Dovevano arrivare oltre Milano, dove il figlio e i nipoti li aspettavano preoccupati: «papà, andare in giornata fino in Alto Adige per prendere quattro cianfrusaglie mi sembra una pirlata alla tua età», ma Michele aveva insistito, «va’ che la mamma ci tiene ai mercatini», e questo era bastato a far tacere tutti.

In quel dicembre non troppo lontano iniziò a nevicare molto. Michele, facendo ballare i tergicristalli a velocità ferali, guardava quei tocchi di neve grandi come fazzoletti illuminati dai fari: erano già le sei di sera, non erano nemmeno arrivati a Trento e c’era molto traffico siccome era il ponte dell’Immacolata; insomma, calcolò, sarebbero arrivati a notte inoltrata.

La coda sull’autostrada del Brennero si muoveva come una gigantesca balena che si trascina sulla spiaggia, perché quella grande nevicata – aveva notato Michele – sembrava uscita dai tempi remoti, gli anni dopo la guerra, quando tutto era più intenso.

Non parlavano tra loro, perché erano vent’anni che non avevano più molto da dirsi, ascoltavano alla radio un programma dove due conduttori si insultavano. La sua Greta intanto giochicchiava con un coso di legno comprato per il nipote, facendo finta di non sentire il fiume di volgarità. Un po’ Michele sogghignava, ma poi fu costretto a spegnere, spaventato dalla spia della riserva e dal fatto che da una mezz’ora buona non si muovevano di un millimetro, «se no consumiamo troppa benzina, ti scoccia se chiudo anche il riscaldamento?»

Greta annuì a fatica, perché era tutta imbacuccata sul collo con delle sciarpone, visto che non aveva i polmoni molto buoni e aveva paura di prendersi un fregiù. Il prossimo autogrill era segnalato a una decina di chilometri di distanza.

Le luci dei freni delle auto davanti illuminavano la neve sulla strada come un mare rosso, e quando tornava a essere bianca Michele respirava, perché si sarebbero mossi un poco, ma spesso si trattava solo di centimetri, e i cumuli tra le auto si coloravano ancora di quel vermiglio artificiale.

«Fa freddo», aveva sentenziato Greta, che non parlava mai. La Lancia ripartì borbottando, cacciando fuori dai bocchettoni aria tiepida che sapeva di gomma bruciata. A Michele venne voglia di ascoltare notizie sul traffico, ma probabilmente la sua ansia sarebbe solo aumentata a sentire il numero di chilometri di coda. Vedendo che i fiocchi continuavano a coprire inesorabilmente ogni cosa, gli venne persino il sospetto che le trasmissioni radio non potessero nemmeno raggiungerli.

Alle undici di sera erano ancora lì a un passo dal caldo dell’autogrill, e nel cielo c’era più neve che notte. «Fa freddo», disse ancora Greta, «ci siam quasi», rispose Michele indicando con un cenno i lampioni della zona di sosta, di cui si intravedevano gli aloni bluastri, e già si sentivano i clacson delle auto che insistevano per entrarci. Quel chiasso divenne l’ossessione di entrambi: erano così vicini, ma bloccati. Michele, per cercare di tranquillizzare Greta, aveva persino messo la freccia metri e metri prima, e aveva già iniziato a spostarsi verso la corsia giusta, dove a lato strada si scorgevano le forme dei vigneti trasformati in bisonti di neve.

In quella notte di dicembre non smise mai di nevicare. I fiocchi si presero i tetti delle auto, si ammucchiarono sui tergicristalli bloccando il loro scodinzolio disperato, si acquattarono negli spazi tra le ruote, riempiendo ogni pezzo di autostrada, si assembrarono sui cofani, soffocando i vapori caldi dei motori.

Una dopo l’altra, le auto in coda vicino all’autogrill cedettero spegnendosi. Anche il ticchettio della freccia della Lancia si tacque.

Michele vide alcune ombre scendere e vagabondare nel buio fino all’autogrill, ultimo rifugio dei rumori. Fece per aprire la portiera, ma Greta gli mise una mano sul braccio: «ci sarà una coda di inferno là, e poi son brutti gli autogrill, stiam meglio qua, aspettiamo.»

Il parabrezza si coprì di un lenzuolo bianco, la Lancia scomparve come uno di quei vigneti, per Michele e Greta il mondo là fuori smise di esistere. Greta strappò un pacco regalo, «era per la Tina, ma pasciensa», e stese una coperta di lana nuova di zecca su tutti e due.

Da dietro lo schermo di neve tremolavano le luci dell’autogrill e ancora si sentivano i clacson disperati. «Ci siam quasi eh», ma la Greta si era già addormentata, il fiato debole che dondolava fuori dalle labbra decorate con quel suo solito rossetto, e risaliva lungo un’espressione che era rimasta sempre la stessa in migliaia di notti.

Quando anche Michele si addormentò si chiese se stesse nevicando così tanto ovunque, se per caso tutto il mondo là fuori non fosse sepolto, e se avesse continuato a nevicare per sempre. Il pensiero, comunque, non gli dispiacque, e chiuse gli occhi coccolato dal silenzio.

Un racconto di Gabriele Bordogna

Illustrazione di Giovanni Mariani

One thought on “La neve è la madre del silenzio

  1. Centro! Un mondo e una storia nell abitacolo di una macchina, letto di un fiato per sapere come finiva….bravo ci è piaciuto

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