Pagnotta

Da dove vengo io i proverbi pesano più del Vangelo e del Codice Penale. Ce ne sono per tutte le occasioni. Per le fortune, per le disgrazie, per la malattia e per il coito. Esiste un proverbio per la divinazione atmosferica, uno per i tradimenti extraconiugali e uno per il flusso migratorio dei rondoni. Uno dei miei preferiti, recita: “Chi c’ha le dente, ‘n c’ha ‘l pane. Chi c’ha ‘l pane, ‘n c’ha le dente.”

– Le piace questo proverbio, dottore?

– La smetta! Sa benissimo che i dottori non credono ai proverbi. O alle barzellette. Noi dentisti, in più, non crediamo nemmeno all’ora legale.

– Ha perfettamente ragione. Mi scusi.

– Si figuri.

– Adesso se ne vada, per piacere.

– Tante carie cose.

– A lei e famiglia.

Dicevamo.

Questo proverbio fonda la propria esistenza sul filo di una duplice esegesi.

A.) Esegesi Umanista: “L’uomo, eternamente insoddisfatto e inappagabile, tende a desiderare ciò di cui difetta senza ravvedersi della ricchezza che già possiede.”

B.) Esegesi Fatalista: “Dio concede a taluni i mezzi per arrivare a un fine, ma non l’interesse nel perseguirlo e viceversa.”

I fedeli alla causa Umanista pensano: “Gli uomini sono una carovana di idioti allo sbando nella tratta dell’evoluzione.”

I fedeli alla causa Fatalista pensano: “Dio (o chi per lui) è un sadico figlio di troia e, purtroppo, non abbiamo armi abbastanza potenti da impensierirlo.”

E voi? Da che parte state?

Sentiamo cosa ne pensa una delle mie ex.

Ex: “Una questione davvero molto intrigante. Mi fa venire in mente di quando hai sfondato la porta di casa alle tre di notte. Volevi sgozzarti con un coltello da cucina. Ho provato a fermarti hai detto che ero una baldracca e che avresti sgozzato anche me. Ti sei calmato solo dopo aver mangiato un toast. Immagino per te sia un ricordo insignificante. Io sono andata in analisi per due anni. Due. Anni.

Non so dirti se sia Dio a essere uno stronzo o gli uomini a essere dei coglioni. E non mi interessa nemmeno. Se mi scrivi di nuovo, vado ai carabinieri e ti denuncio.”

È stata davvero una pessima, pessima idea.

Jay una volta mi ha detto: “L’odio è una conseguenza dell’amore. Non se ne può fare a meno.” Eravamo in macchina e stavamo andando al mare in Feniglia. Ci eravamo fatti una canna appena dopo la colazione e nessuno aveva spiccicato parola per i primi cinquanta minuti di viaggio. Poi lui disse questa cosa. Poi nessuno parlò più fino a che non fummo in spiaggia, quando io confessai di aver fame.

L’amore è una cosa molto complicata, in effetti. È una di quelle cose che se ti chiedono: “Cos’è l’amore?” fai una faccia stupida per qualche secondo prima di tirare fuori una spiegazione altisonante e confusa.

La fame, al contrario, è una cosa molto semplice: se hai fame, mangi. Se non mangi, muori.

Anche la morte è una cosa semplice. La nascita e la morte sono talmente semplici e noiose che capitano a tutti, anche ai poveri, ai brutti e agli juventini.

La masturbazione è semplicissima, così semplice che ci riescono pure i bambini. Nasci, mangi, ti masturbi per tanti, tanti anni (se hai sfiga) e muori.

Il sesso può essere complicato. Ma anche semplice. Ma capita più spesso che sia complicato. Il sesso è un pendolo che oscilla fra l’amore e la morte. O qualcosa del genere.

Il calcio è uno sport e, similmente a molti sport, è piuttosto semplice. Praticamente ci sono undici giocatori da una parte, undici dall’altra, una palla, due porte e alla fine muoiono tutti.

Esposi i miei dubbi a proposito della vita, dell’amore e della morte a Jay, quella sera. Stavamo cenando in un ristorantino di Porto Ercole. Io mangiavo pesce. Jay prese una tagliata con grana, rucola e aceto balsamico. Jay non mangia pesce che non abbia cucinato con le stesse mani che la sua buona mamma gli ha fatto.

“Jay,” gli dico. “Se l’odio è una conseguenza dell’amore, perché odiare è tanto semplice e amare è tanto complicato?”

“Cosa?”

“Dico, ti ricordi quando oggi hai detto quella cosa sull’amore e sull’odio, mentre eravamo in macchina?”

“Chi?”

“Tu, mentre eravamo in macchina.”

“Cosa?”

“Quella fregnaccia sull’odio e l’amore…”

“Chi, io?”

“Sì, sì, proprio tu cazzo. Avevamo da poco passato Valentano, quando lo hai detto.”

“Ma cosa?”

Jay aveva decisamente fumato troppo quel pomeriggio.

Che grande stronzata, la vita.

Riporto, di seguito, cinque opinioni impopolari a proposito di cinque artisti molto popolari.

  1. “Losing my religion” dei REM è una delle canzoni più pallose della storia del suono. E anche della storia del rumore.
  2. Se ti emozioni leggendo “Il Piccolo Principe” e hai più di tredici anni sei clinicamente e giuridicamente ritardato.
  3. David Lynch è un paraculo del cazzo. I suoi film rispecchiano perfettamente un proverbio, per l’appunto, che mia nonna era solita ripetermi da ragazzino: “Quanno l’acqua è zozza, la pozzanghera pare più fonna, cocco.”
  4. Jackson Pollock era altrettanto paraculo. Oltre a essere un pittore di merda.
  5. Lucio Battisti era un cantante mediocre. Ve lo ascoltate solo per scopare alle feste universitarie. E comunque i pezzi migliori li ha scritti tutti quel panzone di Mogol.

Ora, su quello appena scritto si può sindacare (e ci mancherebbe altro) ma su una cosa, spero, ci si possa trovare tutti d’accordo: il duemilaventi è stato un anno semplicemente meraviglioso. Dico sul serio. Un sacco di pandemizzati che conosco hanno ripreso contatto con delle vecchie passioni. I restanti ne hanno scoperte di nuove. È straordinario dove riesca a ficcarsi la curiosità quando la noia l’incalza come una muta di beagle incalza una volpe nelle campagne del Fuckshire.

Io, ad esempio, ho ripreso a bere con costanza e, finalmente, dopo anni e anni di ripensamenti e titubanze, ho deciso di cominciare a drogarmi per bene.

  • Perché, Mess, hai ripreso a bere e hai cominciato a drogarti per bene?

Ottima domanda, bambini.

La verità è che nessuno di noi può guardarsi intorno senza provare una profonda, viscerale sensazione di disgusto. Mantenere un minimo di decenza, al giorno d’oggi, è come svuotare il mare con un secchiello: mestiere per pazzi, vecchi marinai e vecchi marinai pazzi. Ha più decenza il mio cane nella punta rosa del suo cazzo della maggior parte dei pezzi di merda che mi tocca incontrare quotidianamente. Ecco perché i figli, ecco perché il partito, ecco perché i pacchettini di Natale da spedire a dei colleghi di cui a malapena ricordiamo il nome. Ecco perché la Tv satellitare, ecco perché Instagram, ecco perché il crocifisso nelle scuole e la pietra nera della Mecca. Ecco perché i cori negli stadi e le folle di carne assatanata fuori casa dei vip. Ecco perché il Colosseo, le Piramidi di Giza, il canto intorno al fuoco. Tutto – da sempre, per sempre – con il solo scopo di riuscire a distogliere lo sguardo e ingurgitare il rantolo di vomito che ogni uomo sente bussare alle porte della gola nel momento in cui davvero (davvero) riesce a vedere cosa lo circonda. Viviamo di idoli e illusioni perché la realtà è impossibile da sostenere. Per questo, in definitiva, considero la tossicodipendenza un sintomo di inequivocabile onestà intellettuale.

  • Certo che ti lamenti proprio tanto, Mess. Insomma, c’è chi se la passa peggio di te. Ce ne sono eccome…
  • Non avete poi tutti i torti, bambini. A proposito: lo conoscete quel vecchio detto? Quello del pane e dei denti?
  • Siamo troppo giovani per queste stronzate, Mess.
  • In effetti. Lasciamo perdere, dai. Tanto non me lo ricordo nemmeno io.

Un racconto di Massimiliano Maggi

Illustrazione di Anna Seghedoni

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