Santo Natale

Adesso abito in un vecchio borgo, su una collina che sovrasta il fiume. Le case sono antiche, pietre sottratte ai campi e travi di rovere squadrate alla buona. Ce n’è una le cui fondamenta risalgono addirittura al milletrecento; tonda e screpolata come un panettone, è destinata alla preparazione di marmellate, liquori clandestini e prosciutti. Nel seminterrato c’è un recinto di assi da muratore che custodisce sette maiali. Sono lì dall’età di pochi mesi. Del mondo non conoscono altro che quel buio e l’odore della loro stessa merda che due volte al giorno si mescola a quello del cibo.

Ogni volta che passo davanti alla porta li sento grugnire: versi malevoli, spaventati dai miei passi. E c’è dell’altro, in quel grufolio che le pareti fanno rimbombare: è come se urlassero l’invidia che il mio andare libero procura loro.

Qualche giorno fa Lazzaro, il contadino, s’è dimenticato di serrare il chiavistello e tre maiali sono usciti dalla prigione. Li ho visti caracollare per il borgo, timidi ed entusiasti come giapponesi a San Pietro. A ogni passo alzavano il grugno nella brezza, ubriacandosi di quel profumo misterioso. Il sole li stordiva; ogni movimento era un provare e un ritrarsi, quasi si scusassero d’insozzare con le zampe tanto splendore. Per un attimo sono stati bestie libere, e i loro versi suonavano gentili, meravigliosamente cambiati.

Poi il borgo s’è accorto della fuga. Mani nei capelli, la moglie di Lazzaro ha preso a insultarli, spingendoli a bastonate nel tugurio. Io e Roberto, un altro cittadino fuggito in campagna, le abbiamo dato una mano. Nel farlo, una parte di me si ribellava: la compassione per la povera donna era la stessa che m’ispiravano i fuggiaschi. Ma la mente ha molti modi per convincerti che sia giusto quel che sai essere sbagliato, così ho preso anch’io il mio bravo bastone per spingere l’ultimo maiale, il più recalcitrante, nel buio.

Ieri sono ripassato davanti alla porticina. Mi aspettavo di sentire il loro rimprovero, consapevole di essermelo meritato. Ma c’era solo silenzio, nell’aria fetida dello stanzone. Allontanandomi, ho immaginato quello che dovevano aver provato scoprendo il miracolo di colori e odori sconosciuti, prima di tornare nell’incubo angusto che è il loro presente.

Per sensibilità e intelligenza i maiali sono simili ai cani; sanno gioire, affezionarsi oppure odiare; non mi piacciono particolarmente, anzi mi spaventano un poco, ma credo che a questo mondo qualsiasi essere abbia il diritto di godere della luce del sole. Eppure, quelle tre bestie disgraziate rimarranno a rimuginare sulla visione di sogno che per qualche minuto ha colorato la loro esistenza, fino a concludere che davvero di un sogno si è trattato, e che là fuori non esiste niente oltre al buio, alla sporcizia, e al bastone degli uomini.

E penso al loro sgomento, la mattina ghiacciata di dicembre, nel rivedere la luce e i colori e capire l’immensa ingiustizia che li ha privati della dignità di vivere.

Nel guardare il sole, per la seconda e ultima volta, prima che il gancio del trattore li sollevi in alto.

Un racconto di Luca Alessandrini

Illustrazione di Chiara Troisi

6 thoughts on “Santo Natale

    1. Sembrava una puntata di geo&geo…racconto suggestivo…ho sentito la pena dei poveri maiali addosso..
      Bel racconto!Sei bravo Luca, anche se gia lo sappiamo tutti,te lo dico lo stesso😉

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