Mi amor

Eleonore era sotto la doccia e io potevo sentire lo scroscio dell’acqua fin sul balcone, quella pioggia leggera che accarezzava il suo corpo giovane, lo stesso corpo che aveva dormito accanto a me quella notte e che non avrei dimenticato per il resto dei miei giorni. Erano le dieci del mattino, bevevo Gordon’s Gin e osservavo il volo rabbioso dei gabbiani sul golfo di Capri, la luce infrangersi sul mare, le barche muoversi blande verso la domenica, verso la pace, alla ricerca dell’estate. “Al diavolo” dissi tra me, “molla tutto e vieni a vivere in questo paradiso insieme a lei”.

La sera prima cenammo al ristorante di Genny, un amico che conoscevo da più di dieci anni. Quando altri mi hanno voltato le spalle Genny c’è sempre stato. Gli ho voluto bene sin dal primo momento, anche se non gliel’ho mai detto. Ci cucinò delle aragoste che scelsi direttamente da un acquario accanto alla cucina e che Eleonore non sapeva come pulire. Era la prima volta che ne vedeva una in vita sua e passammo la sera a scherzare per come armeggiò con coltello e forchetta.

– Pensi mai a noi? – mi domandò lei.

– Tutte le volte che respiro – le risposi io.

Sorrise.

– Sei sempre così romantico? – mi chiese ancora lei.

La guardai dritto negli occhi.

– Tutte le volte che respiro – le ripetei io.

Ci perdemmo per le strade dell’isola come due innamorati, solleticati dallo scirocco e dall’ebbrezza del vino bianco – o almeno fu lei quella a perdere la testa. Io, come sempre, avevo retto la forza e il piacere dell’alcol come ogni uomo della mia età è chiamato a fare. Festeggiare il doppio di vent’anni ha i suoi tristi vantaggi, pensai mentre le stringevo forte la mano. Non l’avrei mollata per nulla al mondo, quella mano.

Quando tornammo in albergo ci buttammo sul letto ed Eleonore cominciò ad essere più curiosa del solito.

– Perché non mi racconti mai di te? – mi domandò socchiudendo i suoi grandi occhi blu mentre spostava un ciuffo di capelli biondi dietro l’orecchio. – Non so nulla di quello che fai.

E nulla vorresti sapere, pensai. Se solo sapessi cosa hanno fatto queste mani non lasceresti che toccassero la tua pelle così bianca e profumata.

– Te l’ho già detto, mi amor: il mio mestiere si limita a dimenticare ciò che faccio.

Mi rimboccai le maniche della camicia fin sopra ai gomiti.

– E ti pagano per questo? – sorrise lei.

– Non puoi immaginare quanto – risposi io. Accesi una sigaretta con un fiammifero guardando il mare fuori dalla finestra.

Lei rise come solo le giovani ragazze sanno fare, con tutta la faccia e tutto il corpo e così fece ridere tutta la stanza. Rise il letto in ferro battuto e rise il dipinto naïf appeso alla parete sopra le nostre teste; rise il parquet e rise il grammofono appoggiato su un vecchio tavolino in mogano. Al diavolo, mi dissi, che fai? Mi misi a ridere anch’io.

Le donne. Che cosa riescono a fare ad un uomo? Qual è il loro segreto? Credevo davvero che col tempo mi ci sarei abituato, che avrei vinto almeno una volta nella vita con loro. E invece finivo sempre col ricominciare tutto daccapo. Gli stessi errori, le stesse parole taciute. Le donne. Un uomo crede che con loro possa bastare l’esperienza e qualche capello bianco sulle tempie. Dio, quanta ingenuità.

Quella primavera io ed Eleonore avevamo deciso di tuffarci da ogni scoglio d’Italia.

Mi amor – le dicevo io a Portofino.

– Stringimi forte – mi rispondeva lei a Maratea.

Il mio telefono non squillava da mesi e la pistola in valigia si era fatta silenziosa. Eleonore, pensai. La vidi attraversare la stanza senza vestiti col passo leggero di un vero esecutore. Se solo sapessi, Eleonore. Lei mi sorrise e cacciò fuori la lingua in un gioco infantile. Alzai in alto il bicchiere brindando al suo gesto e tirai giù un altro sorso di gin. Il cielo si coprì di nuvole e cominciò a soffiare un vento freddo.

Sedette sul balcone accanto a me, ancora nuda e coi capelli bagnati. Aveva un piccolo neo sotto il seno destro che mi faceva impazzire. Mi parlava, quel neo. Spesso era il punto di partenza delle nostre notti bianche. Il neo mi parlava e mi diceva “comincia da qui”. Non avevo altra scelta: potevo solo rispondere di sì.

– Eleonore – dissi io.

Mi amor – mi fece il verso lei.

Ci baciammo con le labbra fresche del mattino. Poi coprendosi il petto infreddolito disse: – rientro a rivestirmi. Il cielo si fece sempre più coperto e il temporale sembrava in arrivo. Le palme sotto di noi venivano schiaffeggiate dal vento con violenti manrovesci. In spiaggia si richiudevano gli ombrelloni e si rientrava verso casa. Al diavolo la pioggia, mi metteva di cattivo umore. Avevo ucciso tre uomini sotto la pioggia. Uno ad Atene e due a Faro, di fronte all’oceano. Riempii il bicchiere e ingollai altro gin.

Eleonore sedette nuovamente accanto a me.

– Sotto la doccia mi è successa una cosa strana – fece lei. Disse tutto questo osservando l’orizzonte, con un timore che non le avevo mai sentito.

Voltai lo sguardo verso di lei.

– Che tipo di cosa strana? – domandai io.

Prese un lungo respiro. Eleonore, non voglio coinvolgerti, pensai.

– Mentre mi lavavo ho trovato questo nel sapone – fece lei. Allungò un braccio verso di me e aprì il pugno. Era un biglietto plastificato. Non mi mossi. Non voglio coinvolgerti, Eleonore.

– Lo hai letto? – le chiesi.

Non rispose e fece cenno di prenderlo. È roba tua, pensò. Era una ragazza sveglia, e per questo l’amavo. I gabbiani cominciarono a strillare.

Un nome e un indirizzo. La mia pistola con silenziatore nella valigia. Un aereo da prendere. Ti amo, mi amor, ma non voglio coinvolgerti. Glielo dissi.

Lei mi sorrise e sorrise tutta Capri, nonostante tutto.

Un racconto di Cristian Marmo

Illustrazione di Nora

Lascia un commento