Addio, e grazie per tutto il salmone

Lontano, nei dimenticati spazi non segnati sulle carte del limite estremo e poco à la page della Spirale Ovest della Galassia, c’è un piccolo e insignificante sole giallo.

«Insomma, pensavo meglio».

«Ricognizione in angolo deserto dell’Universo, che ti aspettavi?»

«Non so, almeno un po’ di musica».

Di tutto l’equipaggio erano gli unici a parlare: il Comandante J.K. detto Piede di porco e il Vicecomandante M.N. detto Grissino, il resto della squadra si era sciolto in un silenzio assoluto subito dopo il messaggio d’arrivo. Gli ultimi dodicimila chilometri li avevano attraversati in uno stato di sottopressione, che comunemente viene chiamata sensazione a scatoletta, e gola, stomaco e intestini hanno bisogno di tempo per riprendersi. Soprattutto quando è la prima volta che si sperimenta la scatoletta. Piede di porco e Grissino invece avevano collezionato tanti di quei chilometri che si sentivano a disagio solo quando tornavano a stendersi sotto le lenzuola accanto alle rispettive mogli. Lo spazio ti trasforma, si può leggere in uno dei bagni dell’Ottovolante e nessuno sa chi l’abbia scritto. Probabilmente il Comandante di ritorno da una licenza sulla Terra. Era sempre stato lui a guidare quella bagnarola che si spacciava per navicella spaziale e sempre lui le aveva dato il nome di Ottovolante; gli venne in mente quando un intero equipaggio vomitò la cena in seguito a una delle sue caratteristiche manovre a Z tra gli asteroidi. Che diamine mangiate?, aveva chiesto Grissino, che lo accompagnava da sempre, per poi aggiungere Sembrate dei bambini sulle montagne russe. Piede di porco ci era stato da bambino e quel vomito era identico, giallo e gommoso. Così la navicella EX808 diventò per tutti l’Ottovolante. Una bella storia, ma non distraiamoci.

«E che musica avresti voluto ascoltare?»

«Non saprei, del charleston?»

«Mannaggia Plutone, Grissino, sei proprio vecchio. Il charleston, qui, in mezzo al niente dell’Universo a qualche miliardo di anni luce dalla Terra? Lo sai questa distanza quanto vale nell’ordine temporale? Il charleston è la preistoria, per Giove».

I due sono con gli occhi sullo schermo: la telecamera esterna trasmette le immagini di una desolazione interrotta solo da un lontano e piccolissimo sole giallo. Un vero angolo deserto dell’Universo. Gli altri membri dell’equipaggio, invece, guardavano direttamente dagli oblò. La visuale era ristretta e parziale, ma in fondo non c’era molto da vedere: soltanto un sole che spuntava da ogni angolazione, tanto era lontano. Nessuno di loro riusciva a dire una parola, sembrava incredibile essere arrivati nell’angolo più estremo dello spazio per scoprire che si nasconde soltanto il niente, il niente e un altro sole. Ma un altro sole significava altra vita? Una nuova Terra? E se sì, dove si nascondeva? Era tutto troppo nero per capirci qualcosa.

«Comunque un sole non significa niente».

«Pur sempre un inizio, Grissino. Pur sempre un inizio».

«L’hai detto tu. Siamo arrivati così lontano nel tempo e nello spazio che la vita sulla Terra è ormai preistoria e ti accontenti di un inizio? Come minimo avremmo dovuto trovare un ristorante giapponese».

“Sì, un bel chirashi al salmone».

“E il charleston, Comandante. Non dimentichiamoci del charleston».

Piede di porco e Grissino continuavano a scambiarsi opinioni sulla miglior marca di sakè dell’Universo, mentre gli altri viaggiatori se ne stavano fermi, ognuno davanti la propria postazione, con la testa inclinata quel tanto che basta per guardare oltre il vetro. Per i due più alti in grado erano invisibili, il loro compito era permettere all’Ottovolante di raggiungere la meta e adesso che la meta era stata raggiunta non avevano nient’altro da dire. Lo scopo della missione era quello di confermare l’assenza di altre forme di vita. Un successo che aveva il sapore di fallimento, altro che chirashi al salmone. La recluta n.1, alla quale non era mai stato dato un nome in quanto unica recluta a bordo, emise improvvisamente un sospiro simile a quello delle nobildonne ottocentesche quando incrociano i due spasimanti che si contendono il loro cuore e rischiano di svenire, soltanto che n.1 svenne sul serio e non si limitò a una grottesca imitazione.

«Guarda, guarda che spettacolo pietoso il futuro».

«Beh, non promette niente di buono Comandante. Più che pietoso direi preoccupante».

«Già, pietoso e preoccupante. Ormai svengono dopo qualche chilometro di compressione a scatoletta».

«Una scatoletta? A me sembra piuttosto una finestra che viene socchiusa, vedi la luce?».

«Ma di cosa stai parlando, Grissino».

«Del piccolo sole giallo all’orizzonte, non è più tanto piccolo. Anzi, credo stia diventando sempre più grande e luminoso. Non sembra più neanche giallo, è quasi bianco.»

Luce viva e improvvisa, come di un velo che viene strappato e si apre, si smaglia millimetro dopo millimetro e il nero diventa bianco accesso. In sottofondo un rumore metallico, ripetitivo, stridente, come di un apriscatole che gratta la lattina, ci affonda i denti e gira. Più gira più stride e più nella lattina dal buio si passa alla luce. Una luce accecante. Un rumore insopportabile.

«Viaggiare fin qui e poi fine dei giochi?»

«Senza neanche un po’ di musica».

«Avrei gradito persino un po’ di charleston, Grissino».

In effetti il mondo finì, ma soltanto per iniziare da qualche altra parte con un sonoro crack. La scatoletta era stata aperta e l’olio macchiava il cielo.

Un racconto di Francesco Spiedo

Illustrazione di Melissa Brusati

One thought on “Addio, e grazie per tutto il salmone

  1. Mi domando perché ho aspettato così tanto a leggerlo, devo dire che il finale in un qualche modo l’ho trovato un tantino affrettato anche se non sbagliato, comunque mi ha fatto ridere similmente a come mi fa ridere Douglas Adams. Carino davvero carino.

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