Bicchieri Rotti

Ci sono gatti che abitano la campagna notturna. Sono seduti sulla terra come buste grigie dimenticate da uomini soprappensiero, non sai se sono vivi e quando passa qualche macchina i fari illuminano per un istante i loro corpi. Poi alcuni ti guardano attraverso il finestrino e non sembra neanche che siano lì, sparpagliati sui campi estivi che si allineano nella notte secondo metriche misteriose.

Stanno sempre prima delle curve, dopo piccole montagnette di rami da bruciare, in prossimità dei sassi più grandi, come loro fossero ciò che andrebbe scritto sulle pietre, e le pietre ciò che va messo sopra l’uomo.

Io non saprei quando è stato il momento preciso in cui Goliarda è andata via da casa.  Avrà percorso il sentiero selciato e passato il cancello, come fa sempre. Si sarà allontanata oltre il lungo tratto degli ulivi che costeggia lo stradone, e poi chissà, si sarà persa, l’avranno presa, sarà salita su un muro, e poi un altro ancora, finché la nostra casa non sarà diventata l’ultima della strada, finché non è scomparsa dalla sua visuale, finché non è mai esistita.

Dodici anni a fare la regina nera della villa, d’estate sdraiata accanto alle piccole pere cadute dal ramo che io e Lucia mangiamo direttamente da terra, lei con le dita già sporche e io con la bocca di saliva pastosa, ho caldo Lucì, e lei mi stringe di più il polso, mi afferra anche gli occhi, mi costringe a guardarla mentre addenta la piccola pera, il succo acquoso le cola sul mento, è una laida, lo sento nelle viscere che vuole toccarmi, che usa la piccola pera per dirmi cose senza parole, per dirmi che fra poco mi mangerà la lingua toccandosi nelle mutandine e scaccerà via il dolore venendo forte tra le mie braccia.

Io un po’ non la sopporto, quando entra nella mia stanza ha già l’aria sfatta e luglio è un mese terribile perché il 16 è anche il compleanno di Patti che è la sua migliore amica e quel giorno mi è insopportabile avere entrambe intorno. Lucia la invita a stare a casa nostra, così una settimana prima del 16 arriva Patti con sua madre e si sistemano nella stanza degli ospiti. Goliarda la notte se miagola dà loro fastidio e mamma la mette fuori.

Non mi piace l’idea che Goliarda dorma fuori, da sola, la notte. So che è solo un gatto, e naturalmente so che non ha bisogno di un letto o della mia compagnia. Penso che Goliarda sappia poco e niente della mia presenza su questa terra, penso che mi ignori. Mi passa spesso accanto e non mi vede, si comporta come se non esistessi. Amo Goliarda che deturpa il mio corpo semplicemente rendendolo invisibile, mi ricorda mio padre che passa di striscio nei corridoi della villa, quasi attaccato alle pareti come una lucertola, pur di evitare mia madre. Sembra un animale mimetico che scongiura il predatore.

L’amore è la preda del mondo, il mondo la gola dove finiamo mangiati.

Così Goliarda pochi giorni fa è stata messa fuori di casa. La prima notte di Patti e sua madre nella stanza degli ospiti. La prima notte in cui è sparita.

Lucia sciabatta per casa urtandomi i nervi perché in quelle ore non fa altro che cercare Patti per giocare a carte, o per vedere qualche cosa in tv.

Passa nelle stanze e con gli occhi mi taglia, glielo vedo fare quando mi guarda a pezzetti. Mi fissa un piede, mi fissa il collo, mi fissa i capelli, vuole scoparmi e poi mi dice che non si fa, che non dobbiamo più farlo, che ci conosciamo da troppo tempo. Una volta ha cacciato Goliarda dalla stanza prima di iniziare a spogliarsi, le avrei voluto dire che alla gatta non importa della sua nudità, non le importa di nessuna nudità. Ma la maggior parte della gente crede di avere una qualche importanza ­– per qualcuno, rispetto a qualcosa – e invece non conta nulla, i gatti sono qui per ribadire questo semplice fatto: la maggior parte della gente non conta nulla. Non c’è nessuno che la cerca, nessuno che la attende, nessuno che pensa possa fare una qualche differenza, e si potrà raccontare il contrario e mettere i gatti fuori dalle stanze, fuori dalle case, per strada, solo per dire che lì, oltre la porta d’ingresso non è tutto perduto, invece è esattamente così, Goliarda lo sa e lo so anche io. Penso che forse è per questo che i gatti se ne stanno sempre prima delle curve, dopo piccole montagnette di rami da bruciare, in prossimità dei sassi più grandi, lontano da chi si crede predominante. Portano topi morti sulle soglie, cosa mai vorresti insegnare a uno di loro? Sono di un altro posto, ti leggono attraverso, sanno quando non c’è niente scritto dentro di te, e ti superano.

La mia convinzione è che Goliarda ha fatto sentire fin da subito Patti e sua madre prive di qualsiasi messaggio, involucri vuoti, neanche belli esternamente, internamente al buio, come le luci spente delle vecchie case al mare quando ottobre arriva e le finestre vengono chiuse per non far morire di crepacuore le sedie, il dondolo, le lenzuola, i cuscini, per non far morire di nostalgia ogni centimetro delle stanze, nella totale assenza del canto delle sirene, nell’eterno ritorno del mare. Quindi Patti questo è: una tizia stronza che ha fatto sbattere fuori la mia gatta Goliarda, mentre sua madre ripete alla mia che la notte miagola, forse è in calore, Michela abbi pazienza, falla sterilizzare, perché aspetti tanto? Senti che baccano che fa, non si riesce a dormire.

Ma la madre di Patti, che crede di poter parlare così alla mia, non sa che Goliarda potrebbe averla sentita.

Spero di sì. I gatti quando tornano sanno molte più cose di prima. Solo l’uomo si ostina a restare convinto delle quattro cazzate che racconta.

Comunque sono passati pochi giorni, ma quel lunedì Goliarda ancora c’è, luglio è imbiancato di calce accecante e Lucia mi sta dicendo che verrà a breve Patti con sua madre. Non ho mai capito perché Lucia faccia così con me. Temo sia innamorata. Scivolerà nella mia gola, io la ingoierò mentre crederò solamente di respirare.

Lucia usa Patti per metterla fra di noi, come un oggetto che ne separa altri due, ma io ho un’anima, è una calamita che mi tira dal lato opposto. Non so come dirlo a Lucia, penso potrebbe ferirmi con un coltello entrando di notte in camera mia, per poi dirmi che io ho ferito lei. In quel punto preciso della mia paura, la odio: penso che nessun innamorato dovrebbe ferire. Ma mamma mi dice che concetti troppo netti non calzano addosso a nessuno, siamo frastagliati come cocci di vetro, siamo bicchieri rotti, qualcuno potrebbe volerci sistemare, poi sollevarci e bere fino all’ultima goccia.

Attendo Goliarda sull’uscio, sul portico bollente, sul dondolo, mia madre continua a ripetere di lasciar stare, di non pensarci.

Ma io voglio farlo.

È bello pensare a lei di notte. Me la immagino passeggiare nei campi qui vicini, accesa. Sento il rumore dei rami secchi spostati dal passaggio di qualche altro animale ferito, sento l’odore dell’urina sul selciato. Me la immagino in un buio netto, poco prima che si mostrino le stelle, se ne sta lì con altri gatti sparpagliati sulla terra, altri gatti messi fuori casa come lei, allontanatisi un poco, poi troppo, poi, secondo metriche misteriose, quasi mai esistiti.

Un racconto di Giovanna Cinieri

Illustrazione di Giulia Canetto

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