La sera di Ognissanti

Tutti, entrando a casa mia, sono attratti da questa grande finestra che dà sulla strada. È la prima cosa che ha colpito anche me quando l’agente immobiliare mi ha mostrato l’appartamento. Cinque anni dopo la vista non mi ha ancora stancato.

Mi fermo lì davanti, a guardare via San Tommaso che incrocia Pietro Micca e Monte di Pietà. Mi siedo sul bracciolo del divano ― la posizione perfetta per ammirare la strada ―, e da lì guardo i tram; i cavi che fanno scintille nei giorni di pioggia. Guardo le auto, i passanti. Come i tram, a volte ho l’illusione che obbediscano tutti ai binari di un meccanismo nascosto sotto l’asfalto.

Ogni tanto, quando guardo la gente che cammina per strada, qualcuno alza gli occhi e si accorge di me; allora scivolo via, lontano dalla finestra. Lo faccio per imbarazzo il più delle volte, ma altre volte invece è come una specie gioco tra sconosciuti: ci provo gusto, in fondo, ad apparire e poi sparire subito dalla loro vista. Mi piace l’idea di restare nelle loro menti ancora per un po’, dopo essere sparito, come un dubbio ai margini delle loro giornate.

Quando la gioielleria di fronte era ancora una panetteria, vedevo spesso la vecchia proprietaria che si metteva a guardare anche lei la strada. Lo faceva ogni giorno, attraverso la vetrina del negozio. In tanti anni non ci sono mai entrato. Un giorno passando di lì ho trovato la saracinesca abbassata, e così è rimasta per diverse settimane. Ricordo che la proprietaria si metteva a guardare la strada col mento poggiato sul palmo della mano, circondata da una raggera di baguette. Sotto di lei mazzetti di grissini, rosette, focacce lucide d’olio, come offerte votive. Portava un grembiule bianco, i capelli bianchi e sopra una cuffia ancora più bianca, legata con un fiocco sulla nuca.

Da qualche tempo ho preso l’abitudine di appuntarmi su un quaderno le cose che mi capita di vedere dalla finestra. Alcune non si vedono tutti giorni, come quando un tram ha deragliato dai binari e c’è voluto un po’ per rimetterlo in carreggiata.

Un altro incidente mancato: un innaffiatoio una volta è caduto da un balcone e per poco non ha sfiorato la testa di un signore che camminava lì sotto – una scena da vignetta umoristica, lo so, ma l’ho visto davvero.

La cosa più strana però l’ho vista una sera d’estate, che sembrava così tranquilla, fino a quando la gente fuori ha cominciato a scappare alla spicciolata, per un allarme bomba in piazza, che subito si è rivelato falso. Ma per giorni le strade del centro hanno brillato e scricchiolato di cocci di vetro di bottiglia, e una settimana dopo c’erano ancora chiazze di sangue sull’asfalto.

Altre cose che ho visto dalla finestra sono più ordinarie. Come quella volta che guardavo fuori e ho indovinato l’istante esatto in cui l’insegna del Luna Rossa si è accesa, un sabato sera – e mi è sembrato un piccolo miracolo, come una divinità che ti fa l’occhiolino.

Spesso vedo un feretro trasportato a fatica giù per la scalinata della Chiesa degli Apostoli. Ondeggia come un peschereccio in un giorno di mare mosso. Ed è strano: ho visto molti funerali, da quando vivo qui, ma mai ancora un matrimonio.

Una volta ho visto una cosa che non è niente di speciale, solo che non mi era mai capitato prima di assistere, quasi pensavo esistesse solo nei quiz per la patente: un vigile che dirigeva una rimozione coatta. Non riuscivo a distinguere bene la sua faccia, ma sembrava proprio si stesse divertendo.

Spesso, quassù, arrivano delle farfalle marroncine. Girano in cerchio al di là del vetro, e ogni volta mi chiedo cosa ci facciano così in alto, all’angolo tra due palazzi del centro. Mi chiedo cosa cerchino, tra i riccioli di ferro delle ringhiere e gli acanti di pietra. Sul mio balcone non c’è spazio nemmeno per un vaso di fiori.

C’è un signore gobbo che ho visto molte volte camminare lungo il marciapiede, vive nel mio stesso palazzo. Cammina letteralmente piegato a metà, come in cerca di qualcosa di minuscolo che ha perso, e a vederlo viene voglia di scendere di corsa per aiutarlo a cercare.

Una sera ― ricordo che era la sera di Ognissanti ―, ho visto la vecchia panetteria trasformarsi in una gioielleria. Così, nel giro di poche ore. La vetrina era rimasta buia e vuota per giorni, fino a quella sera, quando l’ho vista illuminarsi. A un tratto sono apparsi cuscini di velluto, e ho visto un paio di mani che ci posavano sopra catenine d’argento, e appendevano collane di brillanti a cascata, là dove un tempo si mettevano in mostra grissini, rosette e focacce.

Mi è dispiaciuto che abbiano agito così. Che per farlo abbiano aspettato un giorno di festa, quando la strada era buia e vuota, come fanno i ladri. Avranno pensato che così nessuno se ne sarebbe accorto, che nessuno avrebbe notato la differenza. Ma invece io l’ho visto.

Un racconto di Raffaele Cataldo

Illustrazione di Melissa Brusati

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