U+S-BAHN

È alba, luce che recupera terreno all’oscurità, pioggia leggera che proviene dalla notte e ancora cade e ancora bagna le strade di Pankow.

Nella casa silenziosa abitata da nessun altro se non da lui, le luci spente a parte quella sul tavolo in cucina, S. beve caffè solubile amaro, sfoglia il «Berliner Morgenpost». E la legge.

Legge, pur non desiderandola in alcun modo, la notizia che aspetta da anni.

Si alza, sversa il caffè nell’acquaio, chiude il giornale e lo prende con sé, va all’ingresso, indossa il soprabito, esce.

Stridio di ruote sulle rotaie, vento artificiale che nasce nel tunnel e viene dentro per i finestrini abbassati, scritte e luci e pareti concave che appaiono per un istante e poi di nuovo buio, i mattoni, mettono i mattoni, ma noi, noi ci incontriamo nella metro, e poi le lastre, alte, mettono il filo spinato, S. cosa succede? Non lo so U., via, andiamo via.

E scendono le scale della U-Bahn, ma le scale non portano da nessuna parte se non ad altre scale; poi, quando l’ultimo gradino è fatto, non c’è piattaforma non c’è binario non c’è più stazione. E neanche U..

S. si sveglia.

S. ripensa a questo sogno mentre ora va da U., che poi è un incubo, che poi è lo stesso ogni notte da quarant’anni. Da quando ha visto U. per l’ultima volta sulla banchina di Jannowitzbrücke.

U. è morta, è scritto sul «Berliner Morgenpost» che S. ha ripiegato e messo nella tasca del soprabito prima di uscire e che ora butta in un cestino, dopo aver riletto la notizia una seconda e ultima volta, quasi a voler essere certo di aver visto bene.

S., che per quarant’anni ogni giorno si è ripromesso: quando avrò notizie di lei la raggiungerò, ora la sta raggiungendo.

Non ha avuto alcuna esitazione, non si è chiesto se andare né quando andare. Si è chiesto però dove andare.

Ha pensato, per un istante, mentre la pioggia cessava di cadere e le strade di Pankow però restavano lacrimose e così il suo viso rigato, di andare al Zentralfriedhof Friedrichsfelde, chiedere informazioni su dove U. è stata sepolta, camminare tra le tombe con in mano un fiore, raggiungere quella di U..

Ha pensato per un istante che, in fondo, fosse la cosa più semplice e normale da fare.

Ma S. si è detto: non ho alcuna voglia di incontrare U. morta. Io voglio ritornare a U. viva, a noi, a U+S-BAHN.

Così ora cammina, finché non arriva alla metro, U2-Pankow: entra, percorre il tragitto fino alla banchina direzione sud, sale sul convoglio, cicalino di chiusura delle porte, il convoglio parte.

U+S-BAHN: lo avevano inciso con un coltellino sul tronco di un albero poco fuori la fermata di Jannowitzbrücke.

U+S-BAHN, meno metro più vita insieme significava e si dicevano allora; si sorridevano, si rincorrevano, si mettevano le lingue in bocca, una lingua dell’Est in una bocca dell’Ovest, una lingua dell’Ovest in una bocca dell’Est, parlavano la stessa lingua, avevano gli stessi ricordi, lo stesso passato di figli di una nazione sconfitta e devastata e colpevole, lo stesso presente, ignari di non avere più lo stesso futuro. Nessun futuro.

Il compagno Honecker emanerà una nuova legge, scherzavano nudi distesi dopo l’amplesso; il compagno Honecker ordinerà che le guardie di confine girino con il metro, per misurare la distanza regolamentare tra un cazzo dell’Est e una fica dell’Ovest.

Ridevano fino a sentirsi male; ridevano fino a che entrambi non venivano presi da un’inconsolabile tristezza e non sapevano perché. Allora si rivestivano, uscivano, andavano alla metro, attraversavano uniti la città non ancora divisa.

S. scende a Jannowitzbrücke, in una di quelle che divennero Geisterbahnhöfe, le stazioni fantasma, proprio quella in cui per l’ultima volta vide U. e si baciarono, una lingua dell’Est in una bocca dell’Ovest, una lingua dell’Ovest in una bocca dell’Est, parlavano la stessa lingua, e si dissero a domani, ma quel domani non arrivò, e lei diventò un fantasma, il fantasma di Jannowitzbrücke. 

S. scende a Jannowitzbrücke, proprio quella che per prima riaprì nella notte del 9 novembre 1989 e permise all’Est di riabbracciare l’Ovest, proprio quella in cui S. quella notte si mise in coda, per andare di là, per cercare e riabbracciare U. Non la trovò.

Da allora non è mai più sceso alla fermata Jannowitzbrücke. S. esce dalle porte di Jannowitzbrücke, scende i tre gradini, va all’albero su cui incisero U+S-BAHN, lo trova, è lì nello stesso punto di allora, si avvicina e inizia a leggere gli intagli che negli ultimi quarant’anni si sono stratificati sul tronco. Cerca con occhi sempre più impazienti, e nella selva di lettere e combinazioni di lettere e date e parole infine ritrova il loro, lo tocca con le dita, ha perso quasi del tutto profondità, è in parte sovrascritto e soprattutto monco, -BAHN non c’è più, ora si legge solo: U+S.

Un racconto di Massimo Iovinella

Illustrazione di Emanuela Sandu

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