Nostra signora dei semplici

Alle cinque e ventotto del pomeriggio del dieci di giugno del millenovecentonovantatré, nell’ora e nel giorno in cui suo nonno moriva, Elisa suonava la diamonica. Gli occhi chiusi, i capelli a piovigginarle sulle spalle, le gambe incrociate, seduta sul letto troppo grande per il suo corpo come di colibrì, troppo piccolo per la folla scomposta di pensieri notturni. Elisa inspirava ed espirava, inspirava e soffiava, soffiava con la sua bocca ricamata di ortensia, inspirava, soffiava e suonava e batteva le sue dita come stecche di gelato sui tasti bianchi e sui tasti neri: le guance a pesce palla, gonfiate senza sforzo apparente, le labbra a modulare un suono mai suonato al mondo. Elisa suonava sempre la stessa canzone, una sonata dolce che nessuno aveva scritto, tutta in note minori. I vecchi incartapecoriti, i poeti dilettanti e i pagliacci invecchiati male sotto la cupola bianca e rossa di un circo di periferia rispondevano, a chi aveva l’ardire di domandarlo, che quando Elisa suonava la diamonica, sotto la finestra della sua stanza, la finestra bianca scorticata dal sole forte al primo piano di via dei Librai centosei, la sua musica radunava i manipoli di spiantati e perdigiorno. Ma i meccanici colle mani ingrassate, i postini con le mani incallite, i giornalisti con le mani inchiostrate raccontavano che era invece quando parlava, quando dal petto usciva quella sua voce danzante come di filastrocca che Elisa sospendeva la rotazione della Terra. Le mogli e le zite non la prendevano bene, ma alzavano le spalle e girando la testa sospiravano rassegnate.

Alle sette e zero uno della mattina del tredici di giugno del millenovecentonovantatré, nell’ora e nel giorno in cui la chiesa dell’Annunziata rinfrescava le anime del Purgatorio per accogliere tra le schiere celesti lo spirito del fu nonno, Elisa suonava la diamonica per dimenticare. A Elisa non erano mai piaciute le litanie e le sequenze luttuose caratteristiche del paese suo. Le processioni in mezzo al salone della casa, sfilate di veli neri su teste grigie, cravatte scure su camicie lise e preti con facce livide a occultare vocazioni marce e sfinite. Mamma sua le aveva ripetuto, tra uno strillo di dolore e uno di rimprovero: Elì, a mamma, vieni di là a salutare al nonno che sta male. Ed Elisa lo sapeva che nessuno stava male, men che meno il nonno che le era morto di crepacuore mentre lei suonava la diamonica alle cinque e ventotto del pomeriggio del dieci di giugno millenovecentonovantatré. Elisa sapeva bene che quello sta male non voleva indicare un vero male, un dolore, e non era manco un modo di dire, piuttosto un giudizio morale antropologico, figlio delle epoche, un obbligo a ripetere una catena pubblica di dolore che se poi un solo anello si incrina che succede?

Alle nove e cinquantanove della mattina del tredici di giugno del millenovecentonovantatré, mentre gli uomini-corvo mettevano cerotti di calce viva sul ricordo sanguinolento di suo nonno, Elisa guardava il cielo e sognava il mare con i gomiti appoggiati sul davanzale. Dabbasso il solito capannello di processionali sognanti, pellegrini appostati sui marciapiedi con aria fintamente disinvolta, cercatori della fonte della bellezza, fermi e attenti come randagi per cogliere anche solo una vibrazione del suo canto, un colpo di tosse, uno starnuto, finanche una bestemmia sfuggita di nascosto perché tutto valeva per guadagnarsi una goccia di grazia.

Qualcuno, nelle case del paese, diceva che la voce di Elisa avesse effetti medicinali. Una voce da santa protettrice dei mortidifame, degli imbroglioni e degli imbrogliati. Giravano sottobanco, scritti in penna blu con tratto insicuro, un bugiardino abusivo, Rimedi miracolosi per depressi, cianotici, febbricitanti e ingessati, e un tariffario con prezzi e condizioni per accedere a certe ore, le ore giuste, nelle strade sotto la finestra di via dei Librai centosei. Sotto alla casa di Elisa ci stavano pure i bagarini e i parcheggiatori abusivi. All’angolo col vicolo chiuso delle Maciare, una bancarella su trerruote smerciava per una decina di lire cassette di contrabbando che sul lato A ci sentivi Sanremo con Enrico Ruggeri, Rosanna Casale, Biagio Antonacci e Nek e sul lato B, con molta fantasia, potevi intuirci, tra rumori di strada, fruscii e bestemmie di poliziotti, una voce di ragazza e uno strumento a fiato. Secondo il vicecaposcopatore Nicola detto Colino Cacchione, che tutti nella contrada conoscevano col titolo di Eccellenza, era un imbroglio. E oh, quando parlava Colino Cacchione parlava la Cassazione e nessuno c’aveva mai niente da ridire. Ma poi una domenica, al bar della piazza piccola, quello che a Ferragosto faceva pure da edicola con l’insegna sbiadita della Dreher, uno era arrivato a contraddirlo, portando a testimonianza la guarigione avvenuta di un cognato, marito della bonanima della sorella, e a testimonio il Padreterno. E contro a simili chiamate in causa, nemmanco Colino poteva niente. C’è che poi, scava e riscava, Colino diceva di aver scoperto che la sorella di questoquà non solo era viva ma faceva le corna a suo marito facendosi benedire dal prete nella sagrestia dell’Annunziata ogni giovedì pomeriggio alle tre esattamente e così sia.

All’una e ventotto del pomeriggio del tredici di giugno del millenovecentonovantatré, nel giorno di Sant’Antonio che è nemico del Demonio, il paese perdeva il suo prodigio. Ipnotizzato dal cicaleggiare di piatti e sforchettate, con la musica della pubblicità prima del tiggì a coprire il mondo, non s’era avveduto d’Elisa ciabattare lieve coi suoi sandali di cuoio con un fiore rosa in cima, fare clac clac sui sanpietrini e ai bordi della statale.

Elisa, gli occhi chiusi, i capelli a piovigginarle sulle spalle, le gambe incrociate, seduta nella seconda carrozza del regionale per il mare, col suo corpo come di colibrì soffiava e soffiava e suonava la diamonica per accompagnare il dondolio del treno.

Un racconto di Piero Ferrante

Illustrazione di Lola D’Autilia

4 thoughts on “Nostra signora dei semplici

  1. Gran pezzo. Echi di Gadda, Marquez e Camilleri, ma sotto una traccia originale che denota grande talento è personalità. Molto bene

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