Il volo

La mosca che vola per la cucina, proprio questa che si appoggia sullo schienale della sedia, potrebbe essere la stessa. Ma le mosche si somigliano tutte. Mi avvicino e anche Leo, per imitazione, si avvicina. Quando sono troppo vicino la mosca scappa sull’anta delle conserve.

Quella volta è stata la mosca a darci la caccia: prima se l’è presa con Leo, quindi con lei e alla fine è toccata a me, ma sono convinto che volesse me da subito. La scacciavo con la mano e quella tornava a posarmisi sul collo, sulla spalla, sull’altra mano, sull’orecchio, sui capelli, su ogni parte del corpo.

Leo zoppica sotto l’anta e allunga la mano, ma la mosca è troppo in alto per i suoi novanta centimetri, così fa un saltello e a quel punto la mosca si sente in pericolo, vola via di nuovo. È una mosca pigra, lenta, inoffensiva, o forse è la stagione a renderla così. C’è davvero troppo caldo e quel condizionatore di cui avevamo parlato… da allora non ne abbiamo più parlato. Spalanco la finestra. Almeno è una bella giornata, gli uccellini e così via.

Anche allora ho aperto il finestrino sperando che la mosca uscisse, ma era inverno e lei, intendo dire mia moglie, mi ha chiesto di chiuderlo perché altrimenti Leo avrebbe preso freddo. Capite? Lei aveva freddo e mi ricattava con Leo. E comunque la mosca non aveva intenzione di accontentarmi, anzi si era indispettita, ora ce l’aveva solo con me. Era uno di quei giorni in cui le mosche mordono, o forse era una di quelle mosche, non so, uno o l’altra.

Leo indica la mosca e vorrei dirgli che è solo una comune mosca nera, poi farla finita con un colpo di giornale, ma è da un po’ che non ne leggo. Leo segue la mosca e lo lascio fare, “papà”, dice, ma non rispondo. Mi rendo conto che negli ultimi tempi parla molto più lui di me, dev’essere frustrante vivere con un genitore così taciturno.

Quella volta il giornale c’era e mi sono allungato sul sedile dietro per prenderlo, ma lei mi ha detto che era meglio se tenevo le mani sul volante. Figurarsi. Io sono quello silenzioso e lei era quella con la testa sulle spalle, ma allora non ero poi tanto silenzioso: ho preso a bestemmiare contro le mosche e per non sbagliare contro tutti gli insetti, e lei ha commentato che, insomma, era soltanto una mosca. Il fatto che non mi aiutasse ha raddoppiato i miei sforzi per abbatterla, cui rispondeva sbuffando e agitandosi sul sedile, sempre senza muovere un dito, rendendomi sempre più insofferente.

Non mi pare che Leo abbia mai mostrato interesse per le mosche, quindi non mi spiego perché continui a ciondolare per la stanza, facendosi menare per il naso. La mosca passa dal lampadario allo stipite della porta, dall’ultima mensola alla bacchetta della tenda, sempre fuori portata per lui, che dovrebbe stancarsi, capire che è tutto inutile, e invece. Leo è testardo, deve averlo preso da me; per il resto non mi somiglia per niente. Buon per lui, ma io mi ritrovo a vivere con un estraneo.

A forza di prendere a manate la mosca, o meglio l’aria dove svolazzava o il cruscotto in cui stava posata un attimo prima, è successo che mi sono distratto, la mosca mi ha distratto, e quando lei ha urlato per avvertirmi dell’altra macchina ho sterzato un po’ troppo bruscamente ‒ se solo avesse urlato meno forte non mi sarei spaventato e forse, dico forse, non sarebbe successo niente, insomma, staremmo ancora assieme.

Per un istante ho immaginato di vivere in uno di quei film pieni di grandi querce e dirupi profondi, invece siamo finiti in un campo arato, senza fosso né niente, e allo stesso livello della strada. È intervenuto il carro attrezzi, ma noi stavamo tutti bene, a parte la crisi di panico di… beh, indovinate chi.

Leo mi chiama ancora, mi chiama spesso, a volte dice “papà” tanto per dire, invece non ha più detto una sola volta “mamma”. Un bambino di tre anni si ritrova senza la madre da un giorno all’altro, il padre gli racconta che è morta nell’incidente quando sappiamo benissimo che non si è fatta un graffio, e lui che fa? Smette di chiamarla, di chiedere di lei, fa finta che non sia mai esistita, non si sveglia nemmeno di soprassalto la notte, o se lo fa non me ne sono mai accorto, e io ho il sonno leggero, a volte resto sveglio per ore, più volte vado nella sua cameretta per consolarlo, ma ogni volta lo trovo che dorme pacifico sul lettino.

Sarebbe più facile dirgli che mamma se n’è andata e basta, o forse no. Forse dovrei spiegargli perché e prima me lo dovrei chiedere io. Una sola domanda, troppe possibili risposte e nessun aiuto per scegliere quella giusta. Avrei voluto chiederlo a lei.

Quando sono tornato a casa e non c’era, quando l’ho cercata in tutte le stanze senza trovarla, non volava neanche una mosca. Quanto a questa si appoggia sul davanzale e Leo, speranzoso, dietro. Ma appena si avvicina, un attimo prima che le sue mani si chiudano su di lei, la mosca, senza affrettarsi, prende di nuovo il volo ed è fuori, libera.

Leo mi chiama, ripete “papà”, ma dal momento che non faccio niente per riportargli la mosca ci pensa lui: senza più indecisioni spinge una sedia sotto la finestra, ci sale sopra, lo guardo che si arrampica più in alto.

Perché fermarlo?

Un racconto di Milo Busanelli

Illustrazione di Marco Pellino

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