Gianmarco de chiara per Sissi

Schegge

Quel rumore continua a rimbombare.

Tra le pareti della redazione, intorno alla macchinetta del caffè, nelle mie orecchie: il suono appuntito del vetro che si rompe, lo stridere dei cerchi concentrici di schegge che si spargono sul pavimento, amplificati e prolungati all’infinito.

Mia moglie era accanto a me, la riunione era finita, ma lei non riusciva a smettere di parlare di quella specie di fabbrica, ormai circondata solo da terra senza erba e filo elettrificato, a quaranta chilometri dalla nostra città. Diceva che il giornale doveva parlarne, non potevamo aspettare di capire di più su quello che succedeva all’interno: era chiaro che inquinasse, era ovvio che ci fosse qualcuno dietro, era naturale che fosse una storia da raccontare.

E noi questo facevamo, raccontavamo storie, soprattutto quelle che la gente non voleva sentire. Lo avevamo sempre fatto.

Qualunque cosa producessero lì dentro doveva essere pericolosa, andava detto.

Ci eravamo stati due volte, ma avvicinarsi era impossibile: prima ancora di arrivare alla recinzione gli occhi cominciavano a lacrimarci, l’aria diventava densa, non passava dalla gola, e sui vestiti ci era rimasto un odore bruciante anche dopo averli lavati. Siamo dovuti scappare via, ma entrambe le volte, per un tratto di strada, abbiamo avuto la sensazione di essere seguiti. Anna sosteneva fosse una macchina dell’esercito.

Era questo il dettaglio che a lei premeva più di tutto, confermato anche da altri nostri informatori: più di un’indagine portava al nome del senatore Gavani.

“Quella che lui chiama la sua azienda farmaceutica, in Molise, ha già fatto ammalare di tumore centinaia di persone. Cosa vogliamo aspettare, che la gente cominci a morire anche qui?”

Ma io non riuscivo a decidermi, mi torturavo le dita delle mani mentre andavo avanti e indietro per la stanza, sono io il caporedattore, la decisione finale è la mia e anche la responsabilità.

Quelle erano accuse troppo grandi, quella storia era troppo grande e noi un giornale troppo piccolo.

Mi misi a elaborare ad alta voce un piano, dividendo tra i colleghi i compiti per raccogliere prove, indagare ancora, fare analisi del terreno, ma mentre parlavo la voce scappava al mio controllo, tremava, prendeva degli acuti, si inceppava e restava sulla stessa parola balbettando. Diedi un pugno al muro e le nocche delle dita da bianche mi diventarono del colore del sangue.

Ho fatto appena in tempo a guardarmi la mano, poi, l’esplosione: una delle finestre che faceva entrare la luce nel seminterrato che ci ospitava ci venne addosso, aprendo la strada ad un oggetto sibilante che cadde e si fermò ai piedi di Anna. In pochi secondi la stanza si riempì di un odore bruciante, gli occhi ci lacrimavano e l’aria diventò densa, faceva fatica a passare dalla gola.

Anna è stata la prima a cominciare a tossire: mentre cadeva a terra annaspando nella mancanza di aria teneva gli occhi fissi su di me, come faceva sempre quando doveva convincermi di qualcosa, quando aveva tra le mani una storia che non poteva aspettare per essere raccontata.

Continua a guardarmi anche adesso, mentre nemmeno io riesco più a respirare, mentre anche io sono a carponi sul pavimento, cercando almeno la sua mano. La stanza si è riempita di fumo in fretta, c’è un odore che non andrà via mai più dai nostri vestiti e io non riesco a distinguere il colore delle cose, lacrimo e tossisco e sento che lo sta facendo anche lei, con sempre più fatica, con sempre meno convinzione.

Eppure, ad ogni colpo di tosse è come se scrivesse una parola, con gli occhi puntati su di me, immobili e decisi, gli occhi di chi sta scrivendo sulla tastiera incurante delle conseguenze, con il coraggio di andare avanti ad ogni costo.

Perché è questo che io e lei facciamo. Raccontiamo storie, soprattutto quelle che gli altri non vogliono sentire. Lo abbiamo sempre fatto e lo stiamo facendo anche ora.

Un’illustrazione di Gianmarco De Chiara

Sissi Decorato

Sissi nasce, cresce e si laurea a Milano. Poi cambia idea e si trasferisce a Torino. Ama fare piani per il suo futuro e farli saltare; parlare di Dickens e leggere Sophie Kinsella di nascosto; i vestiti eleganti, ma solo se abbinati a scarpe eccentriche.

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