The spirit in the sky

Se ti svegli alle sei e mezzo di mattina di un giorno lavorativo con la faccia riversa nel tuo stesso vomito, hai due opzioni:

– La cosa più giusta. Ti alzi, pulisci lo sbratto, fai una doccia, mangi mezzo panetto di dentifricio, prepari un tè, ficchi una Tachipirina sotto la lingua e aspetti mestamente che si facciano le otto, cercando di non morire.

– La cosa più sbagliata. Ti alzi, racimoli qualsiasi residuo alcolico presente in casa, riallacci la sbronza e torni fra le braccia di Morfeo, sperando di non morire o, se non altro, di sentire la sveglia delle otto e avvertire il tuo capo che non andrai a lavoro, prima di farlo.

Fatto sta che sono le sei e mezzo di mattina di un giorno lavorativo e io mi sono appena svegliato con la faccia riversa nel mio stesso vomito. Il tappeto, grazie a non so quale santo (probabilmente uno così coglione d’avere a cuore un coglione come me), ne ha assorbito la maggior parte, impedendomi di fare la fine del povero Hendrix.  A svegliarmi è stato il piccolo cane Mess. All’incirca due mesi fa ho adottato questo piccolo cane Mess e, da allora, questo piccolo cane Mess e questo grande cane Mess (che sono io) condividono lo stesso pertugio. Il piccolo cane Mess mi ha svegliato perché l’ho sentito grufolare come un suino di cinta vicino al mio orecchio. Lc-lc-lc-lc-lc, fa. Sta sgranocchiando dei pezzetti di fusilli ancora unti di sugo: il mio pranzo di due giorni fa. Se il santo di cui vi parlavo esiste davvero e davvero mi vuole bene, deve aver preso le sembianze di questa bestiolina per aiutarmi a capire che, alla fine della fiera, siamo tutti bestioline sole e disgustose e non cerchiamo altro che bestioline sole e disgustose come noi per farci compagnia e alleggerirci il cuore. Mi faccio strada con la mano fra le setole intrise di bile e lo accarezzo sulla punta del naso. Non mi si incula di pezza. A questo piccolo cane Mess il vomito piace davvero tanto. E anche a me. Mi piace questo vomito e questo piccolo cane e mi piace questa casa che puzza di ascella e cicche lasciate a macerare nella birra. Mi piace questa situazione, non perché sia una bella situazione, ma perché è una situazione in cui mi sono ficcato da solo e ogni cosa trasuda la mia essenza più qualunque cosa buona abbia mai fatto in vita mia. Mentre mi alzo e barcollo per la stanza alla disperata ricerca di una un pezzetto di fumo so già, per l’appunto, che farò la cosa più sbagliata. La cosa più sbagliata è sempre quella più facile, mentre quella giusta è la più difficile. Sbronzarsi e più facile che fare la doccia, o no? E allora sbronziamoci. Certo, le conseguenze saranno disastrose, ma questo posso dirvelo ora che sto scrivendo questo racconto e quella frizzante mattinata di marzo è solo un ricordo. (N.B. Scrivo al presente, se non fosse chiaro, solamente per delle puerili esigenze narrative. Non penserete davvero che mi sia messo a scrivere questa roba alle sei e mezzo di mattina, vero? Se lo pensate, siete persino più coglioni di me e del santo che mi protegge. Ovvero: parecchio coglioni.) Insomma, io sono uno scrittore e se pensassi prima alle conseguenze di quello che faccio sarei un semplice non – scrittore come tanti altri.

Trovo mezza canna in mezzo ai cuscini del divano. Mi preparerei un Cuba Libre, se solo non mi fossi scolato tutta la coca cola durante un attacco di chimica mitologico. Rum liscio, dunque. Come i pirati.

Il piccolo cane Mess si è addormentato in mezzo allo sbratto. Domani mi toccherà portarlo a lavare. Cinquanta euro per un cane che pesa quindici chili. Così è la vita. Così è la toeletta per cani. Una grossa inculata senza sputo.

Tiro su la serranda, trascino fuori una sedia e mi metto e bere e fumare in terrazzo. L’aria odora di muschio, mentuccia e merda di capra. Non mi sono lavato la faccia perché che cazzo di senso ha, a questo punto, lavarsi la faccia? Nella mia testa c’è un raduno di invasati religiosi. Siamo al punto in cui il santone di turno convince tutti ad ammazzarsi. Delle donnette rachitiche e sdentate puntano una pistola in testa ai loro figli rachitici e sdentati e sparano. Bang! Poi sparano ai mariti. Bang! Poi si sparano da sole. Bang! E poi Lc-lc-lc-lc-lc… “Mess, smettila di mangiare quel cazzo di vomito, madonna sfranta!” Entro di corsa e lo picchio sulla testa. Per come mi guarda, mi scende una lacrima. Sto sbagliando tutto e va bene così. Torno in terrazzo. Un airone cenerino sorge dal fosso di Sferracavallo, profeta del sole, profeta dell’ennesima giornata di merda.

Non sono più solo. Romeo, il gatto del mio vicino, siede sul cornicione di fronte a me. I gatti (quasi tutti i gatti) hanno questa pessima abitudine di squadrarti come se ti fossi presentato a cena da Vissani con il cazzo di fuori e una pannocchia infilata su per il culo. I gatti sono animali vanitosi e superbi, come gli scrittori. Quasi tutti i gatti, ma non Romeo. Romeo è proprio un tipo a posto. Lui ti guarda come se fossi un gatto tale e quale a lui, senza nessuna presunzione di superiorità. Ha uno sguardo umano, quel gatto. Ha uno sguardo così umano che quasi quasi non mi sorprendo quando lo sento dire: “Bella merda, vero, Mess?”

“Non me ne parlare…”

“Me lo avevano detto che non te la passi bene, ma, cazzo, non pensavo te la passassi così male.”

Allora realizzo due cose.

In primis, che questo gatto parla con la voce del Gatto. Il Signor Gatti detto, per l’appunto, “Gatto” è stato mio compagno di corso per due anni, mio coinquilino per un anno. Io e il Gatto, che sua madre e suo padre chiamarono amorevolmente Andrea, siamo veramente molto amici, così amici da poterlo includere nella ristretta cerchia di persone che possono permettersi di darmi del “fratello” senza incappare in una colluttazione.

Secondariamente, realizzo che a parlare con la voce del gatto non può essere Romeo, perché non sta muovendo le labbra (ce le hanno le labbra, i gatti? Probabilmente no). Allora sì che sgrano gli occhi. Li stropiccio, li punzecchio, li cavo e li cambio di posto. Noto un particolare: Romeo ha un bozzo pustoloso sulla cima del capo, in mezzo alle orecchie. È una zecca grossa come una monetina da cinque centesimi. È lei a parlare.

Ora, potete bene immaginare cosa mi abbia portato a esclamare: “Porco dio!”

La zecca – Romeo – Gatto ride. Probabilmente non avete mai visto una zecca ridere. Nemmeno io ne avevo mai vista una. E preferirei non averla mai vista. Ride ed esclama: “Me la strappi sempre una risata. Sempre.”

“Chi cazzo sei?!”

“Io non sono nessuno, Mess. Sono uno spirito. Lo spirito del Gatto, per la precisione.”

“Cosa?! Il Gatto è morto?”

Ride di nuovo. Uno spettacolo ripugnante. E se a dirlo è uno con la faccia zuppa di vomito, due domande fatevele.

“Il Gatto è vivo e vegeto, più vivo che mai. Da quello che so, ha fatto di recente le analisi del sangue e non ha nemmeno un asterisco fuori posto. Solamente, non ha più uno spirito.”

“Nel senso che…lo ha venduto? Tipo…al diavolo?”

Ecco la terza risata. Peggiora di volta in volta, come il sesso.

“Non l’ha venduto, scemo. L’ha perso. Tutti voi umani perdete il vostro spirito, chi prima chi dopo. Lui, ad esempio, mi ha perso tre anni fa. È stato durante il viaggio in Messico, mentre aspettava il pullman per Cancún.”

“Davvero? E come mai?”

“Te la faccio breve. Noi spiriti nasciamo insieme a voi e ci spostiamo per anni sulle vostre spalle, proprio come io sto facendo con questa simpatica testa di cazzo di Romeo. Quando non avete più nulla da offrire, noi ce ne andiamo. Il Gatto aveva esaurito ogni sua spinta spirituale. Aveva raggiunto, diciamo, un livello di spiritualità che non sarebbe più stato in grado di raggiungere. Noi spiriti ce ne andiamo sempre quando il nostro umano arriva all’apice. Una volta raggiunto, lo lasciamo da solo a godersi la discesa. Senza rancore.”

Rido e, a giudicare dalla sua faccia, non devo essere un gran bello spettacolo. “Cazzo! Sei davvero lo spirito del Gatto. I problemi non gli sono mai piaciuti. Non quelli degli altri, per lo meno.”

“Non farti troppe illusioni. Non è una questione personale. Anche tu non hai più uno spirito, sai?”

Gli occhi mi si bagnano di lacrime come quando, poco fa, ho picchiato sulla testa Mess, il piccolo cane. È interessante notare come io non abbia mai fatto caso alla presenza di uno “spirito” dentro di me fino a quando una sottospecie di acaro non me lo ha fatto notare alle sette di mattina di un giorno lavorativo.

“Aspetta… aspetta un attimo,” balbetto. “Io… dove… dov’è il mio spirito?”

“Dov’è il Gatto, ora?”

“Non so. A Bologna? A Torino, forse? A Roma, magari…”

“Vedi, se tu non sai dov’è lui, come pretendi che io sappia dov’è il tuo spirito? Cosa pensi, che noi spiriti ci connettiamo telepaticamente?”

“Beh… sì?”

“Sto cazzo! Noi spiriti siamo proprio come voi, Mess: delle biglie sparse sul grande tappeto della vita, prede innocenti del tempo e della casualità. Non ho idea di dove sia o che forma abbia preso o quando, come e perché tu lo abbia perso. Però vedo che non ne hai più uno.”

“Che pesantezza, orca madonna…”

“Bestemmi troppo, Mess.”

“Hai ragione. È per questo che il mio spirito se n’è andato?”

“Potrebbe essere. Io non sono uno spirito religioso, ma ce ne sono. Ce ne sono eccome. E ti dirò: gli spiriti dei blasfemi, come te, sono i più religiosi di tutti. Passano così tanto tempo ad ascoltare i propri padroni ingiuriare il signore, i santi e la beata vergine Maria da esserne disgustati. Ecco un’altra cosa che è importante che tu sappia: la maggior parte degli spiriti odia il proprio umano. Ecco perché molti di loro, una volta liberi, decidono di attaccarsi a una bestia.”

“Lo farei anche io, al posto vostro,” prendo un goccio di rum. “Tu lo odi, il Gatto?”

“Chiaro. Non posso odiare nessun altro, in fin dei conti. Ho conosciuto solo lui, chi altro potrei odiare?”

“Hai conosciuto anche me, ora. Vuoi dire che non mi odi?”

“Certo che no, Mess. Non posso odiarti perché, in realtà, non sono nemmeno qui. Oh, non fare quella faccia. Pensavi davvero fosse così semplice mettersi in contatto con uno spirito? Povero stronzo. Chissà che faccia farai, quando scoprirai che sei ancora svenuto nel tuo vomito. E indovina un po’?”

“Cosa?”

“Sono le otto.” Ride e dalla sua boccuccia di zecca cominciano a uscire migliaia e migliaia di microscopici micetti rossi come Romeo che cominciano a divorare il grande Romeo fino a smembrarlo completamente. Poi si rivolgono contro lo spirito del Gatto e cominciano a smangiucchiare pure lui. “Buon risveglio, Mess,” sussurra, appena prima di scomparire.

Sono in una pozza di vomito e sudore. La sveglia suona imperturbabile. Profetessa di se stessa.

Nelle grandi storie gli spiriti sono portatori di verità e saggezza, penso. Nella grandi storie… ma questa non è una grande storia. È solo la storia di un’altra sbronza e dell’ennesima giornata di merda.

Lclclc, fa il piccolo cane Mess.

Lclclc.

Un racconto di Massimiliano Maggi

Illustrazione di Nora

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