Il vecchio nome

A Sancellemoz hanno costruito un palazzo, una brutta imitazione di un Le Corbusier: un cassone di cemento bianco e rosa tra le montagne dove pare che mandino i ricchi a morire.

Ovviamente, nessuno utilizza la parola morire; la versione ufficiale è guarire e il palazzo ufficialmente è un sanatorio. Fatto sta che i ricchi prendono il treno da Parigi, da Torino, da Stoccarda e si rinchiudono nel cassone a morire tra le montagne.

Anche la nuova arrivata ha preso il treno da Parigi per morire. Il suo sangue è vitreo, sembra chiara d’uovo.

A volte si chiede se Bronislawa, così lontana, avrebbe potuto aiutarla, indovinando i segni dell’anemia in tempo: ma anche se avesse potuto, a quale cura avrebbe potuto ricorrere?

La nuova arrivata conta i giorni che la separano dalla morte senza crucciarsene.

Le figlie hanno tentato di convincerla a sperimentare cure più aggressive. Irène, che tanto le somiglia, è arrivata a proporle un trattamento a base di radio: pare che in alcuni ospedali sia già stato usato con successo in casi del genere, ma la nuova arrivata si limita a osservare gli ultimi giorni della sua inimitabile vita dal letto del sanatorio sulle montagne.

Alla nuova arrivata piace il cassone bianco e rosa perché è pulito e moderno.

Alla nuova arrivata la modernità è sempre piaciuta.

Dal vecchio la nuova arrivata è sempre fuggita.

Il vecchio era Varsavia occupata dai russi, i risolini delle compagne che la deridono per la sua faccia da bietolona; il vecchio erano mamma e Zofia agonizzanti, una per la tisi, l’altra per il tifo; il vecchio era il prete grasso e sudato che ne ha benedetto le bare, calate nella fossa della tomba di famiglia, a Varsavia lontana lontana che ormai, in questo mondo nuovo di cassoni bianchi e rosa, è libera.

Il vecchio era sforzare gli occhi di nascosto sugli appunti dei maschi per imparare l’unica lingua che riconoscesse vera -più del polacco di mamma, babbo, Zofia e Bronja, più del russo degli odiosi ispettori scolastici, più del francese che le ha cambiato nome e cognome- la scienza.

Di vecchio alla nuova arrivata piace solo una cosa, una parola: Maria.

La nuova arrivata ha per compagna di stanza una ricca dama dell’alta società di Berna. Il suo letto è vicino alla finestra e se la nuova arrivata vuole vedere le montagne, deve per forza guardare anche la donna.

La ricca dama ha gli occhi infossati come ombelichi e i capelli intrecciati in un’acconciatura da ricca dama: ha il cancro. Ha provato a trattarsi col radio, ma dev’essersi stancata anche lei delle ustioni, del vomito continuo, del dolore alle ossa, e ha deciso di venire a morire a Sancellemoz.

A volte parlano, lei e la nuova arrivata: usano il francese come lingua franca. Il francese della ricca dama è spigoloso e aspirato e punteggiato di irreprimibili ichhh, Sie, bitte.

La nuova arrivata parla poco, ma quel poco che dice lo dice nel francese accademico di Pierre, morto trent’anni prima di una morte ridicola per uno come lui – sotto un carro! Che morte contadina.

In francese lei e Pierre hanno sfidato il vecchio mondo: per quest’impresa la nuova arrivata ha dato in pegno il suo nome. Ora che non c’è più Pierre, la nuova arrivata non trova motivi per usare né il francese né il suo nuovo nome.

«E mi racconti, Marie, mi racconti del radio, bitte»

«Maria»

La ricca dama è ignorante come tutte le dame del vecchio mondo. Le hanno insegnato a cucire, a cantare, a partorire, a cianciare di frivolezze: un po’come le compagnucce di scuola della nuova arrivata,gradevoli e crudeli. Ma la ricca dama è stata curata col radio, e quando ha saputo che la sua compagna di stanza era una gran dottoressa– che il radio l’ha scoperto –, ha iniziato a chiederle un sacco di stupidaggini sul radio, sul cancro e sull’aldilà.

La nuova arrivata non ha voglia di dare spago alla ricca dama, ma se vuole vedere le montagne deve volgere lo sguardo verso la compagna di stanza, che aspetta risposte alle sue ciance. Sul cancro e sull’aldilà la nuova arrivata non ha niente da dire, ma del radio, in realtà, ha proprio voglia di parlare. Non lo fa per smania di esser ricordata: la nuova arrivata ha già una tomba pronta nel Pantheon di Parigi (sperando che scrivano Maria e non Marie) e un Nobel che aspetta la figlia Irène– un’eredità sufficiente.

La nuova arrivata vuole raccontare alla ricca dama– come avrebbe voluto poter fare con le compagne di scuola ai tempi del vecchio mondo – il suo dialogo da pari a pari con la natura, passando dal polacco degli studi segreti, al francese di Pierre e infine alla lingua ribollente della scienza.

Le racconta che il chimico non conquista gli elementi come un colono, ma parla loro a tentativi, un po’ come da ragazza faceva col francese, e gli elementi rispondono disvelandosi incerti, per pulsazioni, gettando sprazzi di luce sul caos del mondo: il mondo delle trincee e delle locomotive, delle rivoluzioni e dell’iprite, delle purghe, delle nubi che si addensano sulla Francia, sulla Polonia, sulla Russia, delle urla di quel pazzo che un anno prima è stato eletto cancelliere a Berlino – e in questo mondo atroce parlare agli elementi fa passare la paura di morire.

La ricca dama sembra soddisfatta della risposta, e gli occhi-ombelico le si distendono.

Maria alza gli occhi verso la targhetta sopra la sua testa. Sulla targhetta hanno scritto Marie.

Un racconto di Barbara Marunti

Illustrazione di Nora

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