Matilda

Matilda, luce della mia vita, fuoco della mia dialisi. Mia perdizione, mia speranza. La punta della lingua fa tre passi di danza all’interno della mia dentiera. Ma. Til. Da.

Per me soltanto Ma quando al mattino, d’estate, la vedo stendersi sulla terrazza del condominio a prendere il sole con gli uomini che si nascondono famelici dietro le finestre, magari con un binocolo, a immaginarsi di vederne da vicino le squisite fattezze: le gambe levigate e lunghissime, un filo di palestra ma niente di più altrimenti correrebbe il rischio di diventare un maschiaccio inservibile, e quei piedini, oh i piedini, che lei si pittura proprio lì su quel davanzale aperto agli sguardi del mondo avido e cattivo che vorrebbe depredarla. Si porta dietro una trousse nera e poi tira fuori un numero sterminato di smalti per depositare l’arcobaleno su quelle unghie perfette che vorrei succhiare con la mia lingua lasciva, catarrosa. Il mio sguardo, mentre continuo a manovrare il mio binocolo sul suo corpo, fa il solletico sul viso altero e perfetto, su quei capelli che posseggono i colori dell’oro, del grano maturo. Quella ragazza è l’immagine dell’abbondanza. Lei, adesso ho capito, mi salverà dalla morte.

La prima volta che la incontrai sull’ascensore aveva un top succinto che conteneva a stento i seni e dei bermuda bianchi che le fasciavano amorevolmente le natiche e che facevano immaginare un mondo meraviglioso e accogliente. Ma quando arrivò al piano di casa sua mi si avvicinò e dopo avermi squadrato, affermò decisa: “Lo so, tu sei un uomo che a letto vuole essere ammanettato, vero?” Rimasi lì, senza fiato, non soltanto a causa della mia bronchite cronica, con il tintinnio in sottofondo di quelle manette che lei mi aveva fatto balenare nella testa ancora dispersa tra ricordi lontani.

Una volta avevo legato mia moglie a letto, dopo aver visto un film erotico che s’intitolava La gabbia. Lei aveva goduto molto della sua totale sottomissione alla mia volontà. Poi mi aveva chiesto se anch’io volessi fare la stessa cosa, ma, mentendo, rifiutai come avessi ascoltato le parole di una pazza. Da quel momento il nostro rapporto non fu più lo stesso. Agli occhi di mia moglie avevo tradito la mia promessa di matrimonio. Non mi fidavo di lei, questo pensava, avevo paura che mi tenesse rinchiuso in casa, in preda alla gelosia, come nel film faceva Laura Antonelli con Tony Musante. Divorziammo dopo qualche tempo e mi risposai con una donna che non ebbe mai la tentazione di chiedermi se volessi essere ammanettato a letto. Morì senza avere mai capito chi fossi veramente. Tu Ma, mia delizia, mia croce, hai fatto subito centro, invece.

Adesso sì, è vero Ma, mia poliziotta e nazista amatissima, avrei una voglia matta di veder i miei polsi, da vecchio debole e malato, stretti dentro la morsa d’acciaio delle tue manette fino a che non sanguinino. Lo vedo dal tuo profilo Facebook dove raccogli foto di ogni tipo di bondage, tu ninfetta di appena vent’anni in grado di dare ripetizioni di lussuria a ogni uomo sulla faccia della terra. Perché tu, Ma, sei inferno e paradiso, angoscia ed estasi, supplizio e felicità. Tutti gli uomini sono tuoi servi convinti sulla pagina di TikTok che hai ribattezzato “Un tocco di Matilda”, quando inquadri, con in sottofondo la canzone di Belafonte, il tuo corpo perfetto e chiedi con voce infantile eppure mefistofelica: “Chi vuole essere il mio schiavo del giorno?” e poi inserisci il tuo Iban per le donazioni dei tuoi servi fedeli che risparmiano fino all’ultimo spicciolo, al riparo dagli occhi severi di mogli e fidanzate, pur di avere la loro ricompensa dolorosa. Il tintinnio adesso mi invade la vita, me la rende piena e ancora degna di essere vissuta. Lo sento dappertutto, mi percuote la testa, il cervello e le mani mi formicolano dalla voglia, anche se il medico dice che è tutto dovuto ai problemi ai reni. Ma io me ne fotto, forse ho soltanto qualche giorno o mese o anno da passare al mondo e lo voglio fare pensando esclusivamente alle parole che mi hai detto in ascensore, come una subdola indovina.

E io, mentre sono in dialisi con i macchinari che ammanettano i reni, immagino di essere sul tuo letto con le lenzuola che sanno di bucato appena fatto, immagino di essere nudo e legato, con il mio corpo flaccido come un budino squagliato dal caldo e il mio pene eretto fuori tempo massimo mentre mi soffi nell’orecchio tutte le violenze di cui mi farai oggetto in modo implacabile e dolcemente terribile. “A me non me ne frega niente se sei vecchio, voglio vederti implorare pietà… ti avverto, non ti metterò neanche la padella sotto il culo… dovrai pisciarti, cacarti addosso e poi me le dovrai anche ricomprare le lenzuola, hai capito vecchio bavoso?” Sì Ma, angelo mio, lo farò, m’immergerò come un impavido sommozzatore nel buco più insondabile, più sozzo del desiderio, arricchendo il tuo Iban fino all’inverosimile. L’infermiera mi chiede se provo dolore. No signora, le dico con un sorriso radioso che avrebbe fatto piacere alle donne della mia vita, è tutto meraviglioso. Matilda, Matilda, Matilda, she take me money and run Venezuela…

Un racconto di Fabio Cozzi

Illustrazione di 2rxst

Lascia un commento