Cesarino e la mela cotogna

È molto facile che una piccola pietra pomice di forma ovoidale, una volta ricoperta di peluria bruna e fitta in tutto simile a quella dei kiwi, possa essere scambiata per un frutto. Più difficile è invece riuscire a fabbricare una simile diavoleria, giacché l’operazione di reperire una quantità di peli bastante a ricoprire l’intera superficie dell’oggetto, abbinata alla conseguente e laboriosa manovra di applicare tali peli sulla pietra uno ad uno servendosi di colla vinilica o epossidica o ancora ureica, si rivela ben presto alquanto faticosa e richiede al soggetto mistificatore concentrazione e precisione in dosi non comuni. Essendo tuttavia Nataniele un individuo da sempre appassionato di opere di bricolage, e avendo egli avuto in sorte due manine d’oro meticolose e rapide, non si tirò affatto indietro quando le vicissitudini della vita gli misero davanti la ghiotta occasione di turlupinare Cesarino. Il movente dietro l’intrigo è presto spiegato se si considera che questo Cesarino, anche detto Cesare Linguaccia, era in realtà un ragazzo meschino, di attitudine infido-frodatoria. I suoi inganni avevano per lo più natura di sberleffo e venivano spesso consumati ai danni del coinquilinato che per disgrazia si era trovato a spartire con lui gli angusti spazi di un appartamento in centro città. Dopo i primi mesi di convivenza, la gran parte di questi poveretti sembrava essersi rassegnata a sopportare le angherie del vicino di porta, e probabilmente le cose avrebbero continuato ad andare per il peggio se tra loro non vi fosse stato anche il nostro Nataniele, il quale, trovandosi un giorno di fronte all’ennesimo crimine di Cesarino, scelse di far pagare al selvaggio untore della quiete sua e dei suoi compari ogni deplorevole malefatta. In specie, la controffensiva di Nataniele fu una risposta implacabile ma necessaria al deturpamento del bagno comune, appena tirato a lucido e improvvisamente lordato per non dire smerdato da cima a fondo in modo tale da indurre abbastanza naturalmente Nataniele e tutti gli altri al sospetto di un’inquietante intenzionalità dietro il misfatto. Come al solito, peraltro, Cesarino si mostrò restio ad assumersi la responsabilità delle sue opere di malingegno, e fu anzi pronto sin da subito ad addossare la colpa sulle spalle dei suoi coinquilini e presunti amici. Riunitisi successivamente in gran segreto nella stanza di Nataniele, tutti concordarono sull’impellenza di una vendetta regolatrice che portasse il malfattore ad acquietare se non definitivamente a correggere la sua condotta. Nataniele si propose di occuparsi personalmente della questione, ma quando la vendetta iniziò a configurarsi nelle violente modalità da lui escogitate i complici manifestarono un certo dubbio riguardo la legittimità di un provvedimento tanto grave, e scelsero di dare un’ultima possibilità di redenzione alla loro vittima. Quando il sasso fu pronto, lo posero al sommo della cesta di frutta che sempre campeggiava sul tavolo della cucina, e una sera, mentre consumavano tutti assieme la loro cena, Nataniele tirò in causa di fronte a Cesarino le incredibili proprietà della cibaria. Consapevole della gretta ignoranza del nemico in ambito frutticoloalimentare, chiamò il frutto mela cotogna e iniziò a descriverne divertito le provenienze esotiche e le caratteristiche di pregio, lodando la burrosità della sua polpa, la dolcezza dei suoi sughi. “Il sapore unico della mela,” disse di fronte a Cesarino, “si assaggia tutto insieme, addentando l’esocarpo. I peli che lo ricoprono hanno un gusto squisito, simile al cacao.” Cesarino ascoltò con attenzione le parole dell’amico, tenendo i suoi avidi occhietti fissi sulla mela. Quando la discussione volse al termine, Nataniele propose che il prezioso frutto venisse equamente spartito tra tutti i commensali all’indomani per accompagnare la colazione, e ognuno finse di ritirarsi in camera propria. Cesarino si attardò intorno agli ultimi bocconi e rimase solo di fronte al sasso peloso.

Nella camera di Nataniele, i congiurati si aspettavano di sentir risuonare da un momento all’altro le imprecazioni del nemico smascellato, ma i minuti continuavano a scorrere in silenzio, e una certa impazienza iniziò ad agitare la comitiva. A Cesarino era stata concessa un’occasione, è vero, ma già il solo fatto che avesse scelto di rimanere in cucina sembrava dirla lunga sui suoi intenti truffaldini. Nataniele da parte sua avrebbe voluto con tutto il cuore riuscire a sperare che Cesarino alla fine li sorprendesse, che mettesse fine di sua sponte a quel misero circolo di infidie e di menzogne. Sarebbe bastato poco, alla fine. Sarebbe bastato che Cesarino tenesse le mani al loro posto, che lasciasse la mela lì dov’era. Al mattino, Nataniele gli avrebbe rivelato che il frutto in realtà, ecco, proprio un frutto non era, e finalmente Cesarino avrebbe capito, si sarebbe accorto del pericolo appena scampato e probabilmente avrebbe smesso di provocarli con le sue sconcezze. Dopo tutto Nataniele era una personcina gentile, e davvero gli sarebbe piaciuto tifare per Cesarino, davvero avrebbe voluto aver fede nelle sue possibilità di redenzione, ma di fatto, mentre aspettava immobile che accadesse qualcosa, sentiva sempre più chiara dentro di sé l’insistenza di una vocina che aveva il suono un po’ perfido del sibilo, e continuava a ripetere: “Dai, Cesarino, mordila. Mordi la mela.”

Un racconto di Nicola Dardano

Illustrazione di Incorrect Dog

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