Gli spiddati

«Arrimìnati, dai.»

«Sì, sì.»

«Che fra un’ora è qua.»

«Mi spiccio, però pure tu.»

«Io non c’è bisogno che mi spiccio. Lui solo a te vuole vedere, lo sai.»

Le minne nude della mamma abballavanu nell’aria ammarggiata e insaponata; piccole scosse, giravolte quando lo strofinava sulla schiena, sul petto, sulle ginocchia, tutto bello raschiato con lo straccio. Il bambino credeva che da grande le minne sarebbero venute anche a lui, perché oltre la mamma e il viandante non aveva mai visto nessuno da quando era nato.

«Pure il viandante ha le minne?»

«Che fesserie dici?»

«Non mi vuoi dire le cose vere…»

Il viandante passava nella strada col cappuccio sugli occhi, più giù, gli arrivava in bocca, in mezzo ai denti, s’insivava l’orlo; tutto il corpo era ammucciato in un mantello largo di velluto spesso, accupusu. Passava davanti alla loro casa, in via Colonna Rotta, una volta all’anno: senza piedi, senza braccia; il corpo incappucciato si stricava sull’asfalto da solo, spinto dal vento impolverato. Il bambino aveva paura quando era il giorno del viandante. Certe volte se lo sognava, e sotto il cappuccio spuntavano gli occhi bianchi rovesciati come quelli del cane morto dietro casa, dove ci buttano la munnizza.

«E se quest’anno mi dice di venire con lui?»

«E tu ci vai. Che vuoi rimanere sempre qua con me?»

«Sono già grande?»

Il bambino non era mai andato oltre via Colonna Rotta, doveva rimanere ammucciato come un grumo di pruvulazzo negli angoli, sotto il letto, fra i capelli duri della scopa. Altrimenti i signori del quartiere gli avrebbero sgracchiato in testa per colpa degli occhi spiddati, a calci nella pancia. Solo lui era così, la mamma glielo aveva detto, lei aveva gli occhi normali come tutti, tipo gli occhi del cane prima di rovesciarli. Certe volte il bambino voleva scipparsi la testa per aggiustare tutto, essere normale e non rivedere più il passìo del viandante.

§

Hai fatto Nico bello pulito, a che c’eri ti sei messa pure tu nella vasca per non sciupare altra acqua per due lavate. Conservi l’acqua sporca, un altro bagno poi si può fare, tanto forse sarai pure sola da domani, avoglia di acqua che ci sarà in casa, te la potrai allagare e nuotarci, da quant’è che non vai a mare, da quando è nato Nicuzzu? Non ci avevi fatto caso quando ti è uscito, tutto scivoloso, rosso e inchiappato, pareva un bambino normale, avevi pensato ’u signuri tu paga, non è spiddato come suo padre. Dopo due giorni, Nico aveva aperto gli occhi e tutta la facciuzza gli si era cambiata come dopo una boffa. Il viandante è stato l’unico a buttarti una voce mentre passava nella strada, ti ha sentita piangere, facevi come una pazza, è vero? E tutti si giravano dall’altra parte per non aiutarti, hanno lasciato via Colonna Rotta per l’attasso che portavi col figlio spiddato. Solo lui, tutto atturciuniato nel mantello, ti ha detto di non fare così, che veniva a trovare il bambino ogni anno, per farlo abituare piano, piano per non farlo scantare. Tu gli avevi detto portatelo, portatelo, fallo per me, ma non era ancora il tempo giusto. Non vedi l’ora che arriva il viandante; alla fine lui se ne fotte di te, è vero, a lui interessa solo di Nico, te l’ha promesso, non gli ha mai fatto impressione di niente. A Nicuzzu gli fai mettere i pantaloncini più sistemati, che gli altri hanno l’elastico tutto sdillabrato ormai. Gli tieni la testa ferma per pettinarlo, quando fai la riga di lato chiude gli occhi e tu sorridi.

§

Ogni volta che torno in via Colonna Rotta li vedo da lontano fermi sulla soglia, unti di sole come adesso. I loro corpi sembrano le pareti col calcinaccio squagliato, se si spostano di un passo la casa crolla, cadono a terra in un botto, si apre una voragine ai loro piedi, si distrugge il mondo e se li tira dietro. Lo so che lei ha ancora paura di lui, anche dopo tutto il tempo insieme, dopo quello che le ho promesso. Lui da lontano sembra appena nato, ma mentre mi avvicino cresce, otto anni, nove anni, dieci anni. Quando arrivo davanti alla soglia mi accorgo di quanto è alto adesso; la testa è spigolosa, le pupille gli si muovono fuori da tutto, come due corpi a parte, la bocca è un filo si allunga oltre i confini delle orecchie, sparisce. Gli faccio un cenno, lei mima delle parole, si tocca il petto; poi gli preme la schiena per allontanarlo dalla casa. Nico ha il mento piegato sulla gola, striscia i piedi mentre si avvicina, ha paura come lei. Gli poso una mano sulla testa ossuta, gli liscio i capelli, lui alza gli occhi, io mi levo il cappuccio per farmi riconoscere, e lui si spalanca. La mia parte segreta, la sua, le nostre pupille orribili, fuori da noi, si staccano, scavano la strada, davanti alla casa, nella polvere cristallizzata. Sui buchi dell’asfalto, sul fango raggrumato; da oggi non camminerò più solo.


Un racconto di Noemi De Lisi

Illustrazione di Marco Pellino

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