Capelli biondi

La bambina se ne stava curva sulla sedia di legno posta al centro della stanza, le mani giunte tra le cosce e gli occhi bassi. Sua madre la fissava, teneva le braccia conserte ed era spettinata. Suo padre, con la schiena poggiata allo stipite della porta, fumava una sigaretta e fissava l’orologio sulla parete. Le lancette scandivano i secondi con fermezza.       
La madre disse: «Stavolta è troppo».           
Il padre tacque.          
La figlia sentì gli occhi bruciare e farsi lucidi e prese a respirare profondamente. Inghiottì la saliva. I suoi piedi oscillarono al ritmo delle lancette, un movimento quasi impercettibile.
La madre disse: «Sta’ ferma!», poi si voltò e fece qualche passo avanti e indietro per il salotto. Continuava a ripetere: «Stavolta è troppo».
Il padre si schiarì la voce e la moglie si fermò di colpo; lo guardò negli occhi. L’uomo mantenne lo sguardo per qualche secondo, poi lo abbassò e tirò una boccata dalla sigaretta.        
La donna si passò una mano tra i capelli e riprese a camminare. Il parquet scricchiolava sotto i suoi piedi.       
«Stavolta la paghi» disse.     
La bambina alzò la testa. Una lacrima disegnava sulla sua guancia una curva lucida che terminava all’angolo della bocca. Guardò sua madre.         
Il padre disse: «Dài. Ha promesso che non lo rifarà più».   
«Lo rifarà eccome» disse la donna. «Ma adesso sono stufa, bisogna che capisca».
Alla bambina tremò il respiro nella bocca. Cercò lo sguardo del padre, immobile sulla porta. Non lo ricevette.         
«Non c’è altra soluzione» disse la madre, e camminò rapida verso il bagno. In salotto giunsero rumori di cassetti e sportelli che sbattevano, e un bisbigliare confuso della donna. La figlia vide il pomo d’Adamo del padre abbassarsi e poi tornare a posto. L’uomo si passò una mano sulla fronte e sugli occhi.
Lo sbattere degli zoccoli della madre si fece sempre più forte, poi la figlia la vide rientrare in salotto. Aveva in mano il rasoio elettrico del padre.    
«Sei pazza?» disse l’uomo.  
«Non ti azzardare nemmeno, tu».     
Lui non rispose. Teneva la cicca quasi spenta tra le labbra, con l’indice e il pollice si tastava l’anello nella mano sinistra e intanto sussurrava tra i denti parole inavvertibili, o forse muoveva soltanto le labbra.  
La madre si avvicinò alla bambina e disse: «Non provare a muoverti».    
Il viso della figlia si era fatto rosso per il pianto. Le lacrime continuarono a scendere ma lei non si mosse, non si mosse nemmeno quando il rasoio iniziò a ronzare e sentì le mani di sua madre inclinarle la testa in avanti, e neppure quando poi avvertì quella pressione salire lungo la nuca e sulle tempie, e a terra vide cadere i suoi capelli biondi, di quel bel colore che aveva preso dal padre. Li sentì appiccicarsi sulle guance bagnate ed ebbe voglia di pulirsi, ma non lo fece. Poi la madre le sollevò il mento e tracciò anche la fronte e tutto ciò che era rimasto.  
«Cosa dirà alle maestre? Che la madre è impazzita?» disse il padre, e si sistemò i capelli con la mano.  
«Dirà che ha preso i pidocchi» fece la madre, e finì il suo lavoro. «Adesso mi tocca pulire. Hai visto quanto sei brava?».
Il padre era ancora immobile, sulla porta.    
La bambina rimase seduta e guardò sua madre sudare per togliere i capelli e il disordine che si era creato a causa sua. Quando ebbe finito, la bambina chiese: «Come sono fatti i pidocchi?».  
«Sono parassiti» disse la madre.      
«Cosa sono i parassiti?».      
«Domandalo a tuo padre, cosa sono».          
Il padre la guardò. Il volto di sua figlia ora appariva tondo, debole come non l’aveva mai visto. Gli occhi erano avviliti, somigliavano ai suoi. Non parlò.
La madre si avvicinò alla libreria sulla parete lunga della stanza ed estrasse un grosso libro bianco. In copertina c’era scritto “Sinonimi e contrari”. Lo sfogliò per qualche secondo.        
«Vieni qui» le ordinò.           
La bambina si alzò dalla sedia e si sistemò il vestitino, le si era impigliato tra le cosce. La madre le mise il dizionario in mano e disse: «Leggi qui, forte». Le tremava la voce. Guardò il marito.      
La bambina lesse: «Sinonimi: inutile, svantaggioso, improduttivo, deficitario, sfruttatore, scroccone, sanguisuga, profittatore, mantenuto, sbafatore».    
Rivolse lo sguardo verso la madre: piangeva. Il padre, sulla porta, aveva acceso un’altra sigaretta. Aveva gli occhi tristi, dello stesso colore dei suoi.          

Un racconto di Jacopo Milani

Illustrazione di Gianmarco De Chiara

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