Maledizione

“[…] honor, love, obedience, troops of friends,

I must not look to have, but, in their stead,

curses”

Macbeth, Atto V, scena III

Ricorda tutto:

le colline ondulate e le lontane montagne azzurre, i campi di eliotropi ingobbiti, i fuochi di segnalazione, le porte sbarrate, le maree inverse dei bambini verso le case e dei soldati verso le mura, le braccia di sua madre, i tasselli blu e rossi dei mosaici, le omelie, la voce stanca del prete, la spada di legno, il cavallino bianco, i sorrisi ironici degli zii Curcuas, la tosse di suo padre, la prima spada di ferro, gli zii Foca, zio Niceforo a braccia conserte, com’è la Città? La capitale, intendo;

il primo cavallo da guerra, la prima battaglia, il sangue sui denti, il sudore negli occhi, la polvere, gli Arabi, l’altopiano, le porte di Cilicia, la corazza, la prima ferita, la cicatrice sull’avambraccio, quella sulla coscia, il funerale di suo padre, il funerale di sua madre, una notte a Cesarea, le stelle nude e splendenti, la sua prima donna, la prima promozione, il prozio Barda Foca domestico delle Scholae, gli zii Niceforo Leone e Costantino strateghi, comandanti delle armate orientali, le imboscate sotto la neve, il primo viaggio a Costantinopoli, il Grande Palazzo, i giardini in fiore, i tetti gialli e rossi, il Bosforo blu, l’imperatore Costantino, il principe Romano, sua moglie Teofano, la musica, i banchetti, l’ombra lunghissima di Santa Sofia, il soffitto altissimo di Santa Sofia, il patriarca;

sua moglie, il funerale di sua moglie, la prima battaglia vinta, il primo amico morto, la prima turma sotto il suo comando, la canzone dei prigionieri arabi, la notizia dalla Siria, Costantino imprigionato, il volto di pietra di Barda, la voce di Niceforo, No, non lo vedremo più, quella di Leone, Ricorda, l’importante è che l’impero viva, solo questo conta, la notizia della morte di Costantino, il suo viso nello specchio, la barba rossiccia, il rasoio sulle guance, il suo titolo di stratego, la fedeltà dei soldati, le grida di gioia, le lotte nell’arena, i giochi nell’ippodromo, di nuovo Costantinopoli, Romano imperatore, il principe Basilio, il principe Costantino, Niceforo a Creta, Creta a Bisanzio, la principessa Anna, la morte di Romano, l’anello di Teofano nella mano di Niceforo, Bringas il ciambellano al potere, il pericolo, i complotti, la lettera sulla branda, il sigillo di Bringas, un’offerta per lui: Zimisce, tradisci Niceforo e ti darò il comando d’Oriente, stelle cadenti nel cielo d’Anatolia, le sue suppliche, i suoi incitamenti, Niceforo con i calzari di porpora, l’armata d’Oriente ai suoi piedi, le mura di Cesarea, le bocche spalancate, i pugni alzati, gli scudi percossi, alla Città, alla Città, alla Città!;

il suo nuovo titolo: Giovanni Zimisce domestico d’Oriente, zio Niceforo imperatore, il matrimonio di Niceforo e Teofano, le campagne di Cilicia, l’armata araba intrappolata su una collina, i cavalieri a piedi, le spade sguainate, il sangue tra i sassi, Niceforo sempre più rigido, i suoi sospetti, le gambe spezzate del suo cavallo, la ferita alla testa, lo sguardo vergognoso di suo zio, l’esilio, le colline ondulate d’Armenia;

la convocazione dalla capitale, il ritorno, le luci lontane di Costantinopoli, il Bosforo, l’oscurità, la neve grossa, la spada sotto il mantello, i volti pallidi dei congiurati, il Grande Palazzo, le finestre illuminate, il cesto ondeggiante, il terrazzo, gli occhi scuri e tempestosi di Teofano, il suo bacio, i corridoi, la stanza dell’imperatore, il sudore sulla schiena, il lampo freddo della spada, Niceforo in ginocchio, zio comandante imperatore, i suoi capelli grigi, il suo viso stanco, le sue ferite, non ti odio, non vorrei farlo, ma stai sbagliando, stai rovinando l’impero, e l’impero è l’unica cosa che conta, il colpo riverberato nel polso, il cadavere sul pavimento, il sangue sulla lama, i corridoi, il principe Basilio nel buio, i calzari di porpora, la sala del trono, il rossore cupo dei bracieri, la neve sulle finestre, l’oro offuscato del soffitto, la corona sul capo, i suoi compagni per le vie di Costantinopoli, il suo nome – Zimisce, Zimisce, Zimisce! – gridato alla notte, la spada in mano, la spada sul pavimento, il clangore, l’eco tra le colonne, i brividi, il vuoto.

Ricorderà anche questo – è la sua maledizione.

Un racconto di Sonia Aggio

Illustrazione di Angelo Policicchio

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