Mitragliamamma

Di mamma tutti dicevano sempre che fosse una donna piuttosto anonima, con una personalità che non risaltava mai rispetto all’ambiente circostante, persone o palazzi o pali della luce, e che fosse priva della capacità di avere un impatto in qualsiasi situazione, anche se l’opinione generale cambiò abbastanza radicalmente quando si installò le mitragliatrici in bocca.

Tutto cominciò con una newsletter a cui mamma si era iscritta per sbaglio e che reclamizzava un incredibile miglioramento della qualità della vita per chi avesse problemi a farsi valere con le parole. Papà catalogò subito la mail come truffa, ma tanto mamma, che alle mail truffa non era avvezza, aveva già provveduto a inviare tutti i suoi dati bancari al dottor Strapazzi, fantomatico transumanista con doppia laurea al MIT e all’università di Campobasso. Senza dire nulla a papà, furibondo per il cospicuo prelievo forzato di cinquemila euro dal conto di famiglia, mamma si assentò un giorno per andare allo studio provvisorio di Strapazzi e ne tornò con due protuberanze che sbordavano dalle labbra come le zanne di un facocero metallico.

“Sembra una cosa così moderna”, diceva mamma, “di sicuro non saprò usarla”. Invece dimostrò di avere un talento naturale per quelle cose, che erano in effetti piuttosto semplici: bastava aprire la bocca per pronunciare qualche parola ed ecco che una pioggia di proiettili si abbatteva sul bersaglio, riversandosi dalle due spesse canne di metallo posizionate ai lati delle mascelle.

Per capire la portata della trasformazione di mamma pensate al post pranzo pasquale, quando tutto il parentado si siede a digerire di fronte alla televisione, di norma guardando le notizie al telegiornale e commentandole ad alta voce. Ecco, tra le parole al vetriolo di zio Gino e le accorate opinioni di nonno Gianni, i modesti borbottii e le timide lamentele di mamma non risaltavano granché. Di certo non ricevevano l’attenzione dei presenti che proseguivano il dibattito senza notare la sua presenza, se non quando porgeva le tazzine di caffè.

A un certo punto, tra un botta e risposta tra zii, nonni e il conduttore del telegiornale, cominciai a notare le ritmiche aperture di bocca di mamma, che tentava debolmente di infilare la sua opinione sull’innalzamento delle tasse scolastiche. Zio Gino sbraitava la sua indignazione, Nonno Gianni difendeva il bene comune e il conduttore faceva del suo meglio per spiegare la situazione con minuzia di dettagli e tecnicismi, mentre mamma arrossiva sempre di più, sempre di più…

Fino a quando, frantumando le tazzine a terra, zittì tutti quanti riversando una scia incandescente di proiettili blindati contro la faccia sbigottita del cronista, che per la sorpresa si strozzò con le ultime notizie sull’impasse parlamentare. Dopodiché se ne tornò in cucina, con il fumo caldo che ancora usciva dalla bocca, lasciando un rottame bucherellato e la famiglia ammutolita.

La trasformazione di mamma in donna con le mitragliatrici in bocca aveva praticamente ribaltato la sua esistenza: ignorare la sua opinione era impossibile, qualunque essa fosse, rimbombava di ritmiche esplosioni in sequenza, e i malcapitati oggetti delle sue sfuriate si ritrovavano bucati, crivellati e sbrindellati.

Se pensava che il supermercato fosse disonesto a far pagare cinquanta centesimi in più per delle banane ecuadoriane, che lei trovava buone esattamente come quelle che crescevano in Italia, il reparto ortofrutta si ritrovava sommerso di poltiglia zuccherina di tutti i colori, cassette ribaltate e dispenser esplosi. Se trovava ingiusto che i padroni dei cani non raccogliessero i bisogni dal parco Cuor di Gesù, ecco che animali e padroni correvano terrorizzati mentre una scia di zolle di terra, erba e cacche di cane saltava in aria dietro di loro.

Insomma, qualunque cosa avesse da dire, ora mamma faceva sempre colpo. Anche se la convivenza con una donna con le mitragliatrici in bocca non era di certo facile: non sempre si riusciva a capire il senso delle sue parole, coperte dalle fragorose detonazioni.

Pure quando si tentavano altri approcci, come leggerle le labbra, comunicare con lei era diventato molto rischioso. Per porre un freno alla distruzione domestica, con il divano sventrato, le mensole e i mobili ridotti in frammenti e tutti i muri di casa pieni di buchi neri e fumanti, regalammo a mamma una lavagnetta, sperando di contenere i danni.

Purtroppo si era stufata molto presto di quella tavolozza di plastica bianca, un po’ perché scrivere le stancava il polso, un po’ perché senza il supporto dell’artiglieria le sue opinioni avevano di nuovo smesso di essere interessanti. Papà trovò la lavagnetta nel cestino della spazzatura, con un grosso foro in mezzo alla parola bafancullo, mentre mamma sparava raffiche in aria dalla finestra di casa, di fronte a una piccola ma scalmanata folla di curiosi.

Sì, perché col passare delle settimane, i suoi pensieri avevano cominciato a essere interessanti per parecchie persone. Perfino zio Gino ne aveva rivalutato l’eloquio, dopo che aveva scacciato a male parole calibro dodici gli ambulanti e i vagabondi dalla stazione. Pure Nonno Gianni era diventato un suo ammiratore, dopo che aveva interrotto un comizio di un qualche vecchio politico, di quelli che da anni rubano alla faccia dei cittadini onesti, facendo a pezzi il suo palchetto elettorale, tra qualche fischio e molti, moltissimi applausi.

Alla fine, mamma aveva cominciato a radunare un suo piccolo pubblico, che esultava vedendo quella donna esplosiva che ne aveva da dire per tutti e che sbaragliava quello che non andava nel paese, dai politici corrotti alle buche nell’asfalto. Aveva il suo piccolo pubblico, che di volta in volta cresceva, cresceva, cresceva fino a diventare una vera e propria folla di seguaci. E per loro, mamma non si conteneva di certo: ne sparava, ne sparava davvero per tutti, ne sparava contro i barconi che venivano a rovinare l’Italia, ne sparava contro i gay e le lesbiche che non si adeguavano alla gente normale, ne sparava sulle mani a chi voleva staccare il crocifisso dalle scuole come ne sparava sui piedi di chi marciava in favore dei diritti dei minori; per ogni sparata sul bullismo nelle scuole c’era una sparata sui centri d’accoglienza, per ogni sparata sugli sfollati dei terremoti ce n’era una per i migranti sui barconi.

Il pubblico di mamma era così grande, ma così grande, che a seguirla non c’erano più solo le anziane anonime dalle opinioni anonime, ma pure gli ingegneri e i sismologi, gli insegnanti di scuola media e i ristoratori italiani dalla Germania all’Australia. Alla fine, la folla di mamma era così sparsa, tra un cantone e l’altro dell’Europa, che Strapazzi si rifece vivo alla fine di uno dei suoi comizi improvvisati, in cui lei se ne stava ritta con le sue zanne metalliche rosse come tizzoni e il fiatone che le gonfiava vene e petto.

Fu così gentile, Strapazzi, che le offrì gratuitamente l’upgrade successivo: ora la mamma gira l’Europa con i cingoli ai piedi e le mitragliatrici in bocca, lasciando una scia di buchi nell’asfalto e nei cartelli, nei palazzi, nei lampioni della luce, una scia di buchi ovunque passi nel suo peregrinare, e tutti la accolgono applaudendo ed esultando, perché le sue sparate oramai le capiscono in tutte le lingue e in tutte le lingue vogliono che gliele canti, a quei bastardi.

Io invece sono rimasto a casa con papà a guardare vecchie foto, quando mamma era con noi tutti i santi giorni ed era calma e tranquilla e senza artiglieria. Ma in fin dei conti, penso, siamo fortunati perché a noi non dice mai nulla. “Beati voi”, direbbero Nonno Gianni e Zio Gino, che sono stati trovati crivellati in strada, una sera dopo aver litigato con la mamma sull’usufrutto di un box auto in co-proprietà.

Un racconto di Guido Zanetti

Illustrazione di 2rxst

Guido Zanetti

Guido nasce a Genova nel 1992. Cresce a Pavia, dove studia filosofia per tre anni e tre quarti. Corre a Torino, dove studia sceneggiatura alla Scuola Holden.

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