24 ore

La mia vicina Susanna mi ha proposto di scambiarci casa per un giorno, il prossimo sabato.

– 24 ore precise, poi ognuno torna a casa sua, che ne dici?

La richiesta è insolita.

– Potrei ricevere una visita e non voglio farmi trovare.

Strano, potrebbe limitarsi a non aprire, e perché chiederlo proprio a me, ci salutiamo appena: un amico o un parente sarebbe stata una scelta più ovvia. Ma poi ho riflettuto. Susanna è la mia dirimpettaia, dalle mie finestre vedo le sue, e quindi dalle sue potrò vedere casa mia: un posto così familiare, che conosco come me stessa, che mi apparirà da un’ottica completamente diversa. E magari rivelatrice.

Così mi sono tenuta le mie perplessità e ho accettato.

Il sabato mattina, alle 8, ho bussato alla sua porta.

– Ho preparato la colazione.

Ci siamo sedute in cucina. Tutto risplende di igiene, linearità e tecnologia. Temo non si troverà a suo agio da me, che non ho mai ristrutturato la casa ereditata da mia nonna.

Mentre beviamo il caffè mi spiega:

– È il mio ex, che vive in Australia. Mi ha scritto che sarà di passaggio a Roma e vorrebbe incontrarmi. Io non ne ho nessuna voglia, però non mi dispiacerebbe vederlo di nascosto; se viene, potresti portarlo sul balcone?

La cosa mi sembra un po’ morbosa, ma chi sono io per giudicare i sentimenti altrui?

– D’accordo. Se mi chiede di te che devo dire?

– Che sono fuori e che tu sei da me per curare le piante. E comunque, sai quante volte mi ha annunciato la sua visita e poi non si è fatto vivo? Lui fa così.

Annuisco di nuovo, come se capissi di cosa parla.

Mi porta a fare un giro della casa.

– Ho messo le lenzuola pulite. Certo non verrà di notte, ma mi sentirei più tranquilla se potessi tornare a casa quando sarà ormai di nuovo in volo. Spero non ti crei problemi cambiare letto.

Ci scambiamo le chiavi.

– Grazie, ci vediamo domani. Non preoccuparti dei fiori: ho già innaffiato io.

Ora che è uscita, posso guardarmi intorno. L’ho spesso immaginata, questa casa che intravedevo dietro le tende chiuse, e non è molto diversa dalle mie fantasie. L’avevo immaginata proprio così, disadorna, con linee semplici, quasi austere. Ma il giro è breve: corro in terrazzo, per affacciarmi verso le mie finestre. In fondo è questo il motivo della mia presenza qui, e l’aspettativa è grande, ma quando mi affaccio, la mia casa ha un aspetto completamente estraneo: è l’esterno di un luogo sconosciuto. La osservo attentamente, cerco di trovare qualcosa di familiare, un segno della mia esistenza dietro quelle mura, ma niente, non sembra casa mia, non riconosco neanche le tende tirate. Ora si muovono, e si scostano appena: Susanna è arrivata, e mi fa un cenno di saluto. Le rispondo, poi rientro in casa, delusa. Chissà cosa credevo di scoprire guardando la mia casa da una nuova angolatura.

Torno a girare per l’appartamento, così diverso dal mio. Io non so scartare nulla, e se un oggetto varca la mia soglia sa di aver trovato la sua collocazione definitiva. In genere quel bailamme non mi disturba, mi sento circondata dalla riconoscenza del mondo inanimato che ho accolto e che non lascerò mai accanto al cassonetto. Però a volte mi sento sopraffatta dalla quantità di cose, e mi manca l’aria. Mi prendo un libro dalla sua libreria e mi sdraio sul divano.

All’ora di pranzo vado a curiosare nella sua cucina superattrezzata. Nel frigo c’è ogni ben di Dio, potrei vivere in questa casa per una settimana senza fare la spesa. È un’opulenza che stupisce, perché contrasta con la semplicità rigorosa dei suoi arredi, ma certo non mi delude. Mi servo un’abbondante porzione di pasta al forno, la scaldo nel microonde, poi torno in soggiorno e accendo la TV.

Verso le 5 mi chiama.

– Novità?

– No, nessuna.

– Tutto a posto?

– Sì, e grazie per le cibarie. Mi spiace di non averti lasciato niente di pronto.

– Scherzi? Frutta, verdura, formaggio e pane integrale: proprio quello che desideravo.

È domenica mattina. Alle 8, puntuale, la mia vicina suona.

– Com’è andata?

– Bene, ma non si è fatto vivo nessuno.

– Meglio così.

Non sembra troppo delusa.

– Ma sei sicura che sia ripartito? Magari ha cambiato volo. Se vuoi, per me non è un problema rimanere anche oggi.

– Dici sul serio?

– Ma certo.

– Allora, se proprio non ti dispiace, resto da te.

Ho un altro giorno per godermi l’essenzialità di questa casa, che non mi aspettavo di trovare così accogliente e riposante: sarà una breve vacanza nella sobrietà. Mi chiedo come si sentirà Susanna in mezzo alle mie cianfrusaglie, ma se ha accettato così prontamente la mia offerta, magari ci si è trovata bene. Mi faccio un altro caffè nella sua cucina spaziale, poi mi metterò a innaffiare le piante.

Oggi sono tornata a casa a prendere qualche vestito e una bolletta da pagare. Non c’è bisogno di altro, siamo così vicine che in ogni momento possiamo fare un salto nelle reciproche case, se ci servisse qualcosa. Entrata nel mio ingresso, mi sono guardata intorno e quel senso di estraneità che ho percepito guardando le mie finestre da fuori mi sembra sia penetrato all’interno. Un po’ mi sento in colpa: gli oggetti che popolano le mie stanze avranno sentito la mia mancanza? Si saranno sentiti trascurati? Eppure, non avverto nessun risentimento intorno a me. Chissà, forse anche Susanna ha preso a coccolarli. Così li saluto brevemente, afferro la mia borsa e scappo via.

Un racconto di Fiorella Malchiodi

Illustrazione di Gianmarco De Chiara

2 thoughts on “24 ore

  1. È un bel racconto, profondo nella sua apparente semplicità, quasi svagatezza. Nello stile di Fiorella Malchiodi, sobrio, essenziale, riconoscibile.
    Pino Tossici

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