Limax

Da piccolo guardavo con ammirazione gli adulti che portavano belle occhiaie. Mi piacevano le occhiaie scure, lisce e profonde. Quelle che si distendono fino ai bordi del naso, come un mare grigio e violaceo che si infrange sulla pelle rialzata degli zigomi e straborda sopra le guance.

Una volta, in tv, rimasi impressionato da un paio di occhiaie che mi parvero esagerate tanto erano splendide. Un ragazzo era su un palco allestito da Mtv, decorato con grosse candele bianche. Indossava un paio di occhiali da sole, nonostante il buio della sala, e cantava canzoni suonate in acustico: unplugged, si diceva allora. Tra un pezzo e l’altro, ecco la rivelazione. Le protagoniste assolute divennero loro: un paio di occhiaie esauste e delicate che fecero il loro ingresso trionfale da sotto gli occhiali scuri. Circondavano gli occhi da tutti i lati, e luccicavano nella penombra generale. Rimasi a bocca aperta.

Dal canto mio, avevo provato in tutti i modi a coltivare un paio di occhiaie di cui andare fiero: dormivo non più di quattro ore a notte, passavo giornate intere di fronte a schermi di vario tipo, sforzavo gli occhi nelle condizioni ambientali più avverse. E bevevo un sacco, sperando che la ritenzione idrica arrivasse a gonfiarmi fin sulle palpebre.

Finché un giorno, in una sessione di lettura-da-smartphone praticata in una stanza male illuminata, mi imbattei in un articolo pseudo-scientifico che mi colpì. Ricordo che stampai la pagina solo per poterla incollare sulla testata del letto. Diceva:

«Il contatto prolungato con la pelle degli esseri umani (in media, dai 30 ai 90 minuti) provoca nella lumaca uno spaesamento sensoriale che finisce per inibirle qualsiasi movimento. Questo immobilismo, a sua volta, causa il progressivo scioglimento del piede muscolare della lumaca, che viene assorbito dalla pelle umana creando una sorta di “effetto-fusione”. In un lasso di tempo di una o due ore, perciò, una lumaca può letteralmente fondersi sulla pelle di un uomo.»

La risposta a tutti i miei sforzi era lì, in quell’articolo. Il giorno seguente lo passai a setacciare l’orticello del mio vicino di casa in cerca di lumache. Lui si alzava sempre prestissimo per annaffiare, e fu grazie all’umido generato dalla terra impregnata d’acqua che riuscii a riempire mezzo barattolo di vetro in meno di un’ora. Lumache grosse e piccine, tutte bavose e striscianti. Le avevo raccolte indossando un vecchio paio di guanti da elettricista: non volevo rischiare che mi si fondessero sulle dita delle mani! Tornai felice in casa e mi chiusi in camera mia. Dentro l’armadio avevo uno specchio a figura intera: presi una lumaca dal barattolo, con ancora indosso i guanti, e la posizionai sulla palpebra inferiore dell’occhio sinistro, fissando il mio riflesso. Lo stesso feci con un’altra lumaca, di dimensioni simili, posizionandola sotto l’occhio destro. Fu una sensazione strana. Mi distesi sul letto tenendo le due bestioline ferme, appena premute con gli indici, abbastanza da non farle strisciare via. In attesa che la fusione facesse effetto.

Mi svegliai qualche ora dopo. Una mano era ancora poggiata sul viso, mentre l’altra era scivolata e penzolava giù dal letto. Mi alzai e mi diressi piano verso lo specchio dell’armadio, col cuore in gola: aveva funzionato! Le lumache erano state assorbite completamente dalla mia pelle, e solo da un lato rimaneva una piccola gobba molliccia a ricordare la vecchia forma dell’animale. L’”effetto-fusione” di cui parlava l’articolo aveva generato una distesa di grigio lucido che si espandeva su tutte le palpebre inferiori e scivolava anche più giù. Più mi guardavo allo specchio più ero entusiasta del risultato: le mie nuove occhiaie color lumaca erano splendide e splendenti.

Iniziò così una vita di lussi. Con le mie nuove occhiaie lumacose entravo gratis a concerti e musei, facevo il testimonial per campagne umanitarie, ero l’ospite d’onore nei salotti buoni e alle cene di gala. Per strada la gente mi fermava per una foto, e le ragazze mi invitavano a passare le notti nei loro letti. A dire il vero, anche i ragazzi erano molto intraprendenti. Ero una celebrità.

Qualcosa poteva andare storto? Beh, diciamo che non avevo tenuto conto dei possibili effetti collaterali. Forse non lo diceva l’articolo, o forse non l’avevo letto io, preso com’ero dalla gioia del momento. Fatto sta che sì, le lumache si erano sciolte ed erano state perfettamente assorbite dalla mia pelle; ma ciò aveva causato, come conseguenza, una sorta di slittamento genetico. In parole povere: le lumache, fondendosi, avevano rimodellato il mio DNA a loro immagine e somiglianza. Per mesi (anzi: anni) non mi ero accorto di niente. D’altronde, non brillano certo per prontezza di riflessi. Alla fine, però, era arrivata la resa dei conti. Mi ritrovai con una bavetta schiumosa e grigiastra, della consistenza di saliva mista a sapone, che mi usciva dai piedi. Mi appiccicava per terra e mi permetteva di muovermi solo strisciando: lentamente. In fronte mi erano spuntati piccoli tentacoli retrattili, sensibili a stimoli sensoriali normalmente ad appannaggio di altri organi. Potevo odorare, gustare e toccare il mondo in maniera più completa e soddisfacente che ricorrendo ai vecchi naso, bocca e mani. A poco a poco, senza fretta né patemi d’animo, stavo diventando una lumaca: la lumaca con le occhiaie più splendenti dell’intera città.

Un racconto di Nicola Casucci

Illustrazione di Alessandro Buro

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