Mi hanno sparato

Erano due le cose che sognava apparissero sul suo viso: lentiggini e occhiaie. Tanto la distraeva questa smania, che iniziò a camminare con i piedi sul soffitto e si recò al negozio di accessori per il viso. Era fortunata, un tempo era possibile solo comprare oggetti che andavano ad aggiungersi al corpo (come il profumo, lo smalto, le parrucche), mentre ora sono direttamente in vendita occhi grandi, piccoli, rughe, peluria, a seconda delle esigenze e del gusto.

Desiderava le lentiggini perché conferiscono quel non so che di bambina che è stata sotto il sole a giocare: evocano la spensieratezza di Lilì che sgambetta al mare, avvolta nel suo costumino sporco di sabbia. Ecco, credeva che indossare delle lentiggini potesse rendere la sua vita leggera e impertinente. Le occhiaie, al contrario, erano la chiara, manifesta capacità di vivere emozioni forti, non rinviabili. Avere delle occhiaie era come mettere gli occhiali neri a un funerale: l’accessorio obbligatorio per rendere visibile a tutti l’intima sofferenza.

Tralasciando la spensieratezza, che è per i banali, si concentrò sui propri occhi. Se non dormiva, questi si rimpicciolivano, ma di occhiaie neanche l’ombra. Quanto erano attraenti, invece, quelle donne appuntite, i cui occhi cerchiati sembrano raccontare di una settimana fatta di sesso fino a tarda notte, incuranti della sveglia del giorno dopo, oppure di un lavoro di grande responsabilità, che è per contrappasso molto stressante.

La totale assenza di occhiaie, l’impossibilità di procurarsele, al pari delle lentiggini, sembrava ricordarle, sbattendogliela in faccia, la sua incompletezza. Non aveva niente della bambina lentigginosa-spensierata, niente dell’adulta tormentata-sexy. Non potendo essere al contempo donna e bambina, scelse.

“Buongiorno, desidero un paio di occhiaie” disse al vecchio dietro il bancone.

“Ne abbiamo un paio in saldo color grigio-stress” rispose da bravo commerciante, “ma credo che quelle color viola, considerando quel grande iride ceruleo, si accosterebbero meglio al suo viso”.

“Posso provarle entrambe? Non so scegliere”.

“Signorina, non servirà a nulla indossarle così, senza l’adeguata preparazione. Il pacchetto in vendita include una dose di tensione e insonnia che deve ingerire almeno dodici ore prima, in modo da garantire una migliore tenuta del prodotto. Si fidi di me, ne vendo tantissime. Quelle grigie le abbiamo dovute scontare, perché sottraevano fascino allo sguardo invece che aggiungerne”.

Era ancora indecisa. Passare dal niente al color violaceo le sembrava una scelta un po’ azzardata.

“Quelle che vanno per la maggiore sono le doppie-extra-occhiaie: ben due piccole mezzelune a occhio”.

Guardò la modella sulla scatola. Anche se finta, era bella: una combattente struccata che trasmetteva un malessere intenso e percepibile.

Tutto quel tempo passato a mostrarsi sempre allegra, senza pensieri, l’aveva resa un piattume. Nelle ultime due settimane le persone attorno a lei avevano compiuto azioni sconvolgenti: sua nonna aveva pensato bene di morire, un uomo le aveva sparato, un altro l’aveva soccorsa. Eppure sul suo viso non il cenno di un’occhiaia. Ora desiderava essere compatita. Del resto, la forma della sofferenza era tornata così in voga: tutti la desideravano, ma solo i più egoisti riuscivano a mostrarla.

Due giorni dopo era pronta. Se l’occhio è la finestra dell’anima sul mondo, le occhiaie ne sono il davanzale. E così, nuovi occhi, nuova vita, nuovo affaccio dalla finestra.

Incontrò per caso il ragazzo che le aveva sparato. Ora gli occhi di lui dovevano per forza scontrarsi con il davanzale prima di entrarle dentro, iniziava a sentirsi in salvo.

Era talmente felice del suo trasparente logorio, che mangiò un pezzetto della luna.

Faceva tutto quel che credeva.

Una mattina aprì gli occhi, cercò con la mano il corpo caldo che giaceva accanto a lei e, trovato, cercò di abbracciarlo da dietro. Ma quell’assassino non si lasciava mai cogliere di sorpresa e di scatto si girò per guardarla.

“Ti ho rubato le occhiaie” le disse, “mentre dormivi ho preso su di me il tuo stress, la tua stanchezza, il malumore, l’inquietudine”.

Lei si sentì mancare: “Perché lo hai fatto?”

“Perché a questo mondo non c’è spazio per due amanti che pensano solo a se stessi” le comunicò, asettico.

Lei lo guardò con i suoi nuovi occhi puri, vuoti e inermi. Pensò di chiamare l’investigatore dell’iride per capire cosa avesse attraversato l’occhio di quel ragazzo, cosa potesse aver visto per avere idee tanto sbagliate. Poi, ricaduta nella sua vecchia natura remissiva, decise che non ne valeva la pena.

Sgattaiolò fuori dal letto, schiuse le labbra in un sorriso forzato e cupo, uscì e attraversò la strada luminosa, perdendosi nell’ambiente che la circondava.

Non sapeva dove stava andando, ma una volta arrivata al negozio di accessori per il viso, sapeva esattamente cosa chiedere: una bella faccia da stronza.

 

Un racconto di Giulia Stoppani

Illustrazione di Alessandro Buro

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