Alessia Arti_Ilaria Petrarca_ Varsavia

Varsavia

‒ Un attimo ‒ disse l’Unicorno alla Civetta ‒ Devo postare una foto di Varsavia su Instagram. Sono rientrata ieri dal viaggio ma non ho ancora avuto tempo di farlo.

Indossava un costume morbido, bianco e rosa, dal quale spuntava un’impeccabile french manicure. La paziente le sedeva di fronte, oltre la scrivania, composta.

‒ Dunque ‒ riprese posando il cellulare ‒ Benvenuta.

‒ Grazie. Posso sapere perché indossiamo entrambe delle tute di peluche a forma di animale?

‒ È un esperimento. Se non ti senti a tuo agio puoi toglierla.

‒ No, anzi, avevo bisogno di una maschera.

‒ O di un’armatura?

La Civetta lanciò un’occhiata diffidente all’Unicorno, che la esortò:

‒ Non sarò la terapeuta migliore del mondo, ma sono quella da cui ti hanno mandato quindi su, raccontami cos’è successo.

 

Quando ho scoperto che le mie foto intime circolavano su quei siti ero incredula. Poi gli altri hanno iniziato a commentare, giudicare. È stato Carlo a scattarle e pubblicarle. Ne ha sempre fatte un mucchio ovunque, perfino quando partecipavo alle gare di ginnastica artistica mi immortalava se riuscivo negli esercizi difficili… Era lì con me quando abbiamo fatto quelle cose, ma siccome nelle foto appaio solo io, nei guai ci sto da sola. La gente, familiari e amici inclusi, mi addita o mi compatisce. Ogni sguardo è una lama, mi sono detta: devo per forza andare avanti, anche così?

 

‒ Il travestimento ti dà sicurezza? ‒ domandò la psicologa.

La Civetta annuì.

‒ Sai, si vede che non sei tu. È inutile.

‒ Lo è anche adesso, allora ‒ replicò lʼaltra strappandosi via la maschera.

LʼUnicorno pensò che era bella, Alessia. Viso ovale, le guance porpora di rabbia, le punte dei capelli nascoste nello scollo del costume. Struccata e senza orecchini, era coperta fino al mento da un maglione blu.

‒ Ormai sono quella delle foto, vedono solo lei. Non sai comʼè, sentirsi unʼoscenità.

LʼUnicorno ascoltò, poi si liberò della sua maschera. Alessia provò stupore, vergogna, disgusto, pena e ancora più rabbia tanto che abbassò lo sguardo appena prima che Sabina iniziasse a raccontare.

 

Quando mi ha aggredita ci eravamo lasciati da tempo, mi sembrò assurdo che ci stesse ancora rimuginando. Poi la gente ha iniziato a commentare, giudicare. È stato Giorgio a sfigurarmi con lʼacido. Mi ha sempre detto che amava i miei lineamenti: il taglio degli occhi, gli zigomi alti, perfino la parte tra naso e labbro. Diceva che adorava il mio sorriso… Era lì con me, ma siccome allʼospedale ci sono finita io, nei guai ci sto da sola. La gente, familiari e amici inclusi, mi addita o mi compatisce. Ogni sguardo è una lama, mi sono detta: devo per forza andare avanti, anche così.

 

‒ Hai voluto indossare questi costumi per nasconderti? ‒ domandò la Civetta.

‒ Lo sai comʼè, sentirsi unʼoscenità?

‒ Mi prendi in giro?

Silenzio.

‒ Ma che ci sto a fare, qui ‒ mormorò Alessia fissando la testa di uccello che teneva in grembo.

‒ Hai bisogno di aiuto.

‒ Sai cosa mi servirebbe?

‒ Cosa?

Alessia socchiuse gli occhi.

‒ Puoi cancellare quello che è successo?

‒ Direi di no.

‒ Farlo dimenticare agli altri?

‒ Ma ti importa dei fatti o del giudizio?

Alessia abbassò le palpebre, stizzita.

‒ Comunque no, non posso.

‒ Puoi uccidermi?

‒ Questa, poi!

‒ Uccidimi…

‒ Smettila.

‒ Uccidimi! ‒ insistette Alessia.

‒ No!

‒ Allora non sei la migliore.

‒ E tu non sei diversa da loro.

‒ Loro chi?

‒ Chi vede soltanto la mia faccia sfregiata o peggio, chi non ha il coraggio di guardarla.

Alessia aprì gli occhi per ribattere ma Sabina la anticipò.

‒ La gente è pigra. Ormai esiste ciò che ha davanti al naso e basta: la tua pelle nuda, la mia pelle sciolta.

‒ Ecco perché devo nascondermi.

‒ Sbagliato! Le cicatrici dovrebbero unire le parti, non tenere aperte le ferite. Indicano che le cose sono di nuovo in ordine, magari uno diverso da prima ma ci sono tornate, capisci? Ora ti danni non per ciò che hai fatto, ma per ciò che gli altri hanno fatto a te.

‒ Tu no?

‒ No, e nemmeno desidero infagottami in un Unicorno fuori di qui.

‒ Saresti carina.

‒ Sono questo viso, piaccia o no.

‒ Non sarai la migliore ma te la cavi.

A Sabina scappò un ghigno che intendeva essere un sorriso. Lʼaltra si accigliò.

‒ Vuoi che mi copra di nuovo con la testa da Unicorno?

‒ No.

‒ Vuoi dirmi altro di te?

‒ No.

‒ Vuoi che ti dica altro di me?

Alessia indicò il cellulare.

‒ Dimmi di Varsavia.

 

È una città inutile, secondo alcuni. Altri non sanno trovarvi aggettivi perché in effetti manca del fascino di Praga o Budapest. È stata rasa al suolo durante la Guerra, governata dai nazisti prima e dai comunisti poi, non ha un monumento celebre come il Louvre o il Partenone. La Storia lʼha imbruttita sia nella distruzione che nella ricostruzione e la Vistola, che ha assistito a tutte queste vicende, la segna da nord-ovest a sud-est. Varsavia ha dovuto progettare daccapo la propria identità. Non so se ci sia riuscita o meno, però sento che ci crede a dispetto di tutto. Questo, per me, è il suo Louvre o il suo Partenone.

 

‒ Mi sento ancora in disordine ‒ riprese Alessia ‒ perché cʼè una parte di me che è lì, sotto gli occhi di tutti, e sembra che vedano solo quella.

‒ Cosa vorresti vedessero?

Alessia sospirò, poi si tolse scarpe, tuta, maglione e jeans. Annodò i capelli, salì sulla scrivania, puntò una mano sul piano e si eresse in verticale facendo una spaccata in aria. Lo sguardo di Sabina cadde sul polso sinistro della ragazza dove il taglio per lungo, ancora vivo e arrossato, mostrava il passaggio di lame e giudizi. Armi subdole, affilate… Quindi risalì i muscoli del braccio, la spalla definita, il collo allungato, il torace arcuato, le gambe aperte e tese da piede a piede.

‒ Non sei la migliore al mondo ma te la cavi ‒ commentò Sabina.

‒ Mi prendi ancora in giro? ‒ disse Alessia scendendo dalla scrivania.

‒ No. È importante, cavarsela.

È importante tenere unite le parti, si disse Alessia abbassando lo sguardo, stavolta per sfidare quello strabico della maschera della Civetta di peluche a terra.

Un racconto di Ilaria Petrarca

Un’illustrazione di Alessia Arti

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