Ringo

Oggi ho trovato una chiamata persa di mio padre e mi sono allarmata. Non mi ha mai telefonato in orario di lavoro, per nessun motivo. Una volta è caduto dalle scale e pur di non disturbarmi si è fatto accompagnare al pronto soccorso dal vicino.

Da quando mia madre se n’è andata però le cose sono cambiate. Lui è cambiato.

«Mi hai cercata?»

«Sì. È tornato Ringo».

«Ringo?»

 

Ai tempi di Ringo ero una bambina di sei anni reduce da un’operazione al cuore. Porto ancora una cicatrice, che mi divide lo sterno in due metà, come quelle bustine di antidolorifico di cui puoi prendere mezza dose. Mio padre mi raccontava che mi si erano rotti degli ingranaggi nel petto e che li aveva aggiustati lui, ma per farlo aveva dovuto tagliarmi e poi ricucirmi.

«E hai fatto tutto da solo?» chiedevo io sgranando gli occhi. Allora lui mi mostrava l’ago e il filo che usava per la vela della sua barchetta, mentre mia madre scuoteva la testa con un sorriso tirato.

Quell’inverno prendeva spesso il pomeriggio libero per portarmi a passeggiare sulla spiaggia, a ridosso delle baracche dove c’era meno vento. Raccoglievamo conchiglie, e se ne trovavamo una abbastanza grande se la portava all’orecchio con aria assorta, e poi la accostava al mio.

«Lo senti, il rumore del mare?» bisbigliava, e io facevo di sì con la testa, anche se non era vero.

Durante una delle nostre camminate scoprimmo che vicino a una baracca col tetto di lamiera arrugginito, in uno spazio grande quanto uno sgabuzzino e delimitato da una rete, viveva una scimmietta. Io strillai per l’eccitazione, mentre lei ci guardava perplessa dall’angolino in cui si era rifugiata.

«Chissà come si chiama».

«Ringo» rispose prontamente mio padre.

«Come lo sai? Non è femmina?» chiesi.

Lui scosse la testa. «No, è un maschio. Si chiama Ringo, come quello che suonava nei Beatles, te lo ricordi no?»

Avevamo preso l’abitudine di andare a trovare Ringo con un sacchetto di noccioline comprate al negozio di frutta e verdura. La proprietaria commentava ogni volta «Ma è proprio ghiotta di noccioline, questa bimba!» «Già» rispondeva mio padre strizzandomi l’occhio, «È una scimmietta!»

Io serravo le labbra trattenendo le risate. Non volevo che qualcuno scoprisse il nostro segreto.

Superate le diffidenze iniziali, Ringo cominciò a slanciarsi contro la rete ogni volta che ci vedeva, emettendo versi gutturali di gioia e tendendo le manine per ricevere la sua nocciolina.

Un giorno, alcuni mesi dopo, trovammo la gabbia vuota. Sentii le lacrime premere dietro le palpebre.

«Amore, è tornato dalla sua famiglia. Qui era solo in vacanza, non poteva restare per sempre».

«Davvero?»

«Sicuro. Ti dico mai bugie?»

Presto la baracca era stata ristrutturata: le pareti che avevano ospitato Ringo, sotto una bella mano di vernice, si erano trasformate in una verandina, con tanto di conchiglie bianche appese alle pareti.

 

«Ringo, sì, è tornato» ripete con tono grave.

«Appena esco da lavoro vengo da te» rispondo leggermente turbata, e mi sbrigo ad archiviare le ultime scartoffie.

«Questa qui si è mangiata tutti i miei gelati!» mi strepita mio padre all’orecchio appena entro in casa, convinto di bisbigliare.

Come da copione, la badante si offende.

«Io non mangio niente, li ho solo nascosti. Tu puoi mangiarne uno solo al giorno perché hai il diabete, capito?» replica alzando gli occhi al cielo.

«Luda ha ragione, il gelato ti fa male. Su, metti la giacca così usciamo».

«Macché diabete, quella lì se li mangia tutti, ti dico. Non lo vedi come è grassa?» bofonchia mentre io quasi lo trascino fuori casa sotto le occhiate assassine di Luda.

È un pomeriggio primaverile tiepido e profumato. Arrivati in spiaggia si aggrappa al mio braccio mentre entrambi affondiamo nella sabbia, lui per colpa dell’età, io per i tacchi alti. Si scherma gli occhi con la mano, così tiro fuori dalla borsa gli occhiali da sole e glieli porgo.

«Ecco, altrimenti oggi il sole ci acceca».

«Sì» annuisce convinto, «tra poco è tempo di rimettere in acqua la barca».

Mi mordo il labbro e lascio che il rumore delle onde si confonda con quelle fantasie.

«Quindi Ringo è tornato?» dico, un po’ per cambiare discorso, un po’ perché sono davvero curiosa. «Ma quanto possono vivere le scimmie? Sei sicuro che sia la stessa? E poi, non è illegale tenerla?»

«È là!» mio padre indica la veranda, che negli anni ha cambiato colore, dall’ocra al rosa pesca. Ci avviciniamo.

«Eccolo qui» mi dice soddisfatto.

Resto a bocca aperta.

Sul davanzale di una delle finestre, c’è una scimmia di peluche, con tanto di coda. Mio padre le fa dei cenni con la mano e poi sorride come se avesse ricevuto risposta.

«Hai visto? È proprio Ringo. Non è molto invecchiato, vero?» mi domanda a bruciapelo.

Istintivamente porto la mano allo scollo della maglia e passo i polpastrelli di indice e medio sulla sagoma della cicatrice che serpeggia tra i miei seni.

«No, non è invecchiato. È sempre uguale».

«Chissà quanto si fermerà».

«Chissà». Mi stringo nelle spalle e gli sorrido.

«Andiamo a prendere le noccioline?»

«Va bene. Vuoi anche un gelato? Non diciamo niente a Luda, però».

I suoi occhi vivaci si illuminano sotto le sopracciglia ingrigite.

«Tre gusti?» chiede speranzoso.

«Anche quattro».

Tolgo la mano dalla cucitura e lo prendo sottobraccio.

Un racconto di Irene Rossi

Illustrazione di Melissa Brusati

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