White

Lo spazio sembra non finire mai. Il bianco intorno a me è diverso da qualunque altro, sembra luminoso; senza ombre, senza macchie, solo bianco. Il pavimento, le pareti – ci sono delle pareti?, il soffitto. Dove sono? Come sono finito qua dentro? Credo di essermi svegliato diverse ore fa, ma è difficile dare una definizione al tempo qua dentro. La voce sembra provenire da ogni parte; non rimbomba e non fa alcun eco. È precisa, profonda. Dice che sono libero, che qui dentro posso fare tutto ciò che desidero. Ho tutto lo spazio del mondo, dice ancora la voce, come se fosse sufficiente; Se c’è un limite, un bordo, voglio sapere cosa c’è oltre. Se c’è un muro, voglio romperlo. Mi guardo intorno, cammino alla ricerca di un segno, di qualcosa di diverso, di un’uscita magari. Certo, un’uscita deve esserci. Fuggirò via da qui, adesso.

Nemmeno mi rendo conto di aver raggiunto una parete; se non fosse per le mani, tenute sempre in avanti, avrei sbattuto il naso senza dubbio. Ci saranno voluti giorni a raggiungere quel punto. La stanza in cui mi trovo è davvero enorme. Accarezzo la parete, alla ricerca di un segno. Niente. È liscia, perfettamente levigata; non credo di aver mai toccato qualcosa di così liscio in vita mia. Avevo una vita prima di questo luogo? Se provo a rintracciare quei ricordi sento come un blocco, un tubo otturato. Non ho tempo per questo: prima esco da qua, poi penserò al resto. Rimango con la mano sulla parete e comincio a camminare in un’altra direzione; troverò tutti i limiti di questo luogo. Questo bianco maledetto in cui mi trovo. Un foglio bianco, uno spazio immenso delimitato da un confine preciso. Cosa c’è oltre quel confine? Cosa succede se esco dalla stanza, dal mio foglio, da questa realtà? Vi sarà forse un’altra prigione? Un altro universo magari? Altri confini?

Raggiungo il secondo muro. Ci ho messo molto meno tempo questa volta, forse un paio d’ore. Il sospetto nasce e cresce come una pianta: le pareti si avvicinano, la stanza si sta restringendo. Quei confini che sembravano così distanti ora sono al mio fianco. O forse non è la stanza a diventare più stretta, bensì sono io che sto crescendo. La voce – quella voce totale, fatale – torna a farsi sentire. Mi dice che nessuno si è mai lamentato del proprio bianco. Oltre quello spazio vi è il nulla. Il bianco è, il resto no. Bene, continua a parlare. Adesso so che ci sono altri come me rinchiusi in altrettante prigioni. Quindi c’è dell’altro oltre tutto questo. Eppure forse ha ragione lui. Se gli altri non si lamentano, se gli altri si accontentano, forse sono io il problema. È questo mio ego così smisurato che mi fa stare così stretto? Forse ho davvero tutto lo spazio. Finché resto nei limiti posso fare tutto ciò che voglio.

No. Lo spazio si restringe sempre di più. Adesso ne sono sicuro. Ho corso da un lato all’altro della stanza – avanti e indietro due volte – e ogni volta ci ho messo circa la metà del tempo. Andando avanti a questa velocità rimarrò schiacciato in poche ore. È questo tutto ciò che mi spetta? urlo alla stanza, alla voce, al tutto. È ciò che spetta a tutti. La voce risponde, senza divertimento, senza tonalità, come se fosse un dogma assoluto. Ho sempre odiato i dogmi, solo altre regole, muri, altri limiti imposti.

Seduto a uno degli angoli, riesco a percepire meglio il movimento delle pareti. Provo a immaginare come deve essere la prospettiva della Voce. Per lui, dall’alto, sarà come guardare un foglio bianco; con un puntino nero che corre qua e la cercando di disegnare fuori dai bordi.

È veramente troppo tardi; ho perso le speranze. Le pareti sono sempre più vicine, sento di non aver nemmeno lo spazio per respirare. È finita ed io sono finito.

Sono finito

f

i

n

i

t

o

 

 

.

.

.

 

NO

 

Io

                                                                 E S P L O D E R Ò

 

                                 O V U N Q U E

 

Libero da qualunque presa, da qualunque limite; vago, galleggio in uno spazio sconfinato. La voce non si fa più sentire. Non ci sono più regole qui; forse non c’è nemmeno più un qui, mancando qualsiasi tipo di limite mancano anche le linee che delimitano qualcosa rispetto a qualcos’altro. Qui sono nel tutto; fuori da qualunque prigione, fuori da qualunque contesto, incasellamento. Fuori. Sono semplicemente Fuori. O forse è solo una mia illusione. Devo pur essere da qualche parte e quella parte in cui mi trovo è un frammento del tutto, non è il tutto. Sono in un paradosso allora; sono fuggito da quella realtà così limitata e delimitata, sono evaso dalla mia stretta prigione e per cosa? Solo per avere una cella più grande? Immensamente più grande – certo – ma non per questo meno opprimente. E adesso che ci faccio caso, il tutto in cui mi trovo sta diventando già piccolo; non c’è speranza per noi, non c’è via di fuga; siamo bloccati, e lo saremo sempre e adesso il tempo sta finendo, lo spazio si consuma ad ogni mio pensiero, ad ogni parola; se c’è qualcuno che può sentirmi vi prego, vi scongiuro, venite a salvarmi, venite a prendermi. Portatemi via da qua, fatemi uscire, ho poco tempo, qualcuno mi

 

 

Un racconto di Gabriele Siciliano

Illustrazione di Federico Bressani

 

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