Decoro

Durante le riunioni di condominio, il signor Vianello si era sempre dimostrato l’oratore migliore, nonché l’unico in grado di mantenere l’ordine in caso di contrasti. Così quel mattino, quando si era palesata la minaccia, era venuto da sé che la riunione d’emergenza si sarebbe tenuta la sera stessa nel suo appartamento, al secondo piano.

Il signor Vianello li accolse con espressione cupa, e i nove partecipanti si strinsero attorno al suo tavolo da pranzo. Il fatto che l’appartamento fosse gemello di quello di tutti loro bastò a farli sentire subito a proprio agio, tanto che la signora del primo piano appese il cappotto all’appendiabiti prima ancora che il padrone di casa li invitasse a farlo e il ragazzo della mansarda si offrì di preparare il caffè.

Quando tutti ebbero davanti una tazzina fumante, si cominciò a dibattere l’ordine del giorno.

Il primo a prendere la parola fu il padrone di casa.

– Signori. – Si rigirava la tazzina tra le dita tozze. Era come se non ne avesse mai presa in mano una, come se avesse poca dimestichezza con oggetti così piccoli e fragili. – È necessario trovare subito una soluzione. –

– È disgustoso, – gridò una donna dai capelli corti. Le tremava il labbro inferiore. Tutti le rivolsero un’occhiata di solidarietà.

La ragazza del terzo piano alzò la mano, incerta. – Per prima cosa dovremmo far riparare il portone d’ingresso, no? Ormai è rotto da una settimana. –

– Certo, – disse il signor Vianello – ma ci vorranno giorni, e non possiamo lasciare lì quel… –

– Allora chiamiamo la polizia. –

– Come sappiamo, la cosa non avrebbe alcun effetto. Il pericolo si ripresenterebbe il giorno dopo, se non la sera stessa. –

– Perché non glielo diciamo? – intervenne la signora del primo piano. Aveva le labbra contratte, sembrava nauseata. –Facciamogli capire che deve andarsene. –

– Riusciremmo soltanto a inimicarcelo, – ribatté un uomo grasso che indossava un completo marrone. – E non mi sembra il caso. Qui vivono anche delle ragazze. Sole. – La ragazza del terzo piano abbassò gli occhi. L’uomo continuò: – Potrebbe diventare pericoloso. –

– Io ho ospiti a cena, domani. – La donna dai capelli corti sbatté la sua tazzina sul tavolo di legno. – Dovrò annullare tutto, se non troviamo un rimedio entro oggi. Non posso farli entrare, con quel disgraziato appostato nel cortile interno… come se fossimo… – prese fiato. Si passò sul volto una mano fresca di manicure. – Come se fossimo dei pezzenti. –

– Sì. Oltre al pericolo, è davvero indecoroso, – disse il signor Gianluca.

La signora coi capelli corti si girò verso il signor Carlo. – L’hai trovato addormentato lì stamattina presto, vero? Quindi è sgattaiolato nel cortile stanotte. Mentre dormivamo. – Rabbrividì. – Portandosi dietro quel materasso cencioso. –

– Sì, – sospirò lui, tetro. – E tutti i suoi averi, in quei sacchi lerci. Come se fosse intenzionato a… a rimanere. –

Per qualche secondo tutti fissarono le loro tazzine. Fu come se volessero chiedere il da farsi alla ceramica bianca, interrogare i fondi di caffè. Un ragazzo si stringeva il naso tra pollice e indice, gli occhi chiusi.

Fu il signor Carlo a proporre la soluzione.

– Sì. Purtroppo questa sembra l’unica possibilità. – Il signor Vianello si appoggiò allo schienale della sedia.

La ragazza del terzo piano emise un gemito.

– Ma non c’è un altro modo? Un modo meno… –

– No. Non riusciremo a convincerlo ad andarsene. – L’uomo sospirò. – Dobbiamo costringerlo. –

La ragazza morsicò l’unghia del pollice, facendola schioccare tra i denti.

– Siamo d’accordo, allora. Chi vuole scenda con me. – L’uomo sparì dietro la porta della camera da letto e ne riemerse, qualche istante dopo, reggendo tra le mani un attizzatoio. – Facciamo questa cosa. Sbrighiamocela. –

Si voltò verso la ragazza. – Non piace neanche a me. Non piace a nessuno. –

 

La signora Esposito camminava a braccetto col marito, stretta nel cappotto pesante, compiaciuta dal tonfo regolare dei suoi tacchi che sbattevano sul marciapiede di pietra. Ripensava allo spettacolo che avevano appena visto a teatro; il cattivo gusto della scenografia era indubbio, ma nel complesso la rappresentazione era stata piuttosto godibile. Cercava di ricordare l’abito indossato dall’attrice protagonista – rosso cremisi? O mattone? – quando sentì le urla.

Sussultò e si voltò verso il palazzo da cui provenivano gli schiamazzi. Era anonimo, ma tutto sommato dignitoso, non fosse stato per il portone d’entrata aperto e sbilenco. Avvicinandosi distinse anche dei tonfi, dei colpi sordi.

– Ma che succede lì dentro? –

Il marito non si voltò a guardare.

– Che vuoi che stia succedendo, qui. Non siamo nella nostra zona. È in centro che vive la gente perbene; quando te ne allontani, può accadere di tutto. Così funzionano le città. –

La signora Esposito rabbrividì. – La prossima volta passiamo per la piazza, anche se ci mettiamo un po’ di più. Non ci voglio più passare, per questo quartiere di disgraziati. –

 

 

Un racconto di Fosca Salmaso

Illustrazione di Maria Sciannimanico

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