sciannimanico per giordano

Legge popolare

C’era silenzio a Tor Pignattara alle tre del mattino. Il giro per svuotare i cassonetti si concludeva alle due e sulla Casilina le corse dei tram avrebbero ripreso alle cinque.

Anche i gabbiani si mettevano quieti, appollaiati sulle tegole dei casermoni. Le insegne dei bar erano palpebre serrate, le imposte chiuse a non far uscire un alito di caldo, e i televisori spenti non vomitavano parole.

Tuttavia, da una quindicina di giorni, quel silenzio era sporcato dal ronzio del motorino di Francesco e dal suo vagabondare fra le strade del quartiere.

Non riusciva più a prendere sonno, così, per qualche ora, sedeva rigido sul suo SH 125, pieno di graffi e adesivi scoloriti, e assecondava le curve, ignorava i semafori lampeggianti e gli stop con lo sguardo fisso sui muri.

Facciate intonacate di fresco, altre scalcinate e rivestite di scritte, manifesti della Rinascita Nazionale Cristiana che pontificavano sulla minaccia mortale delle droghe leggere, squallidi cartelloni pubblicitari dai bordi rattrappiti dalla pioggia, graffiti, dichiarazioni estemporanee di amori sprofondati nell’oblio.

Francesco catalogava ogni macchia di colore, ogni protuberanza, ogni traccia di una vita caotica e ingombrante che gridava da quel cemento freddo, dalle pareti che imprigionavano la brava gente di Tor Pignattara.

Da una quindicina di giorni aveva deciso di andare controcorrente. A Roma, se vedevi una crepa sull’asfalto ci scherzavi su, “Adotta una buca”, e le maledicevi tutte.

Poteva contare almeno tre conoscenti che si erano spaccati il coccige, una decina si erano schiantati per terra o su qualcos’altro nel tentativo di evitarle. Francesco aveva deciso che le avrebbe prese tutte. Se ne vedeva una da lontano accelerava, e ci passava sopra con forza. Quelle botte che si irradiavano dall’osso sacro fino alla nuca erano gli unici momenti in cui i suoi occhi si chiudevano, ignorando i muri e la sua ricerca ossessiva.

All’alba, sfinito e col sedere dolorante, tornava a casa, si sdraiava sul letto e provava a prendere sonno, ma puntuale quello svaniva, lasciandolo a fissare il soffitto della sua stanza con un senso di nausea e la testa piena di lampi.

L’ultima volta che aveva dormito di gusto, forse era meglio dire che era crollato di botto, era stato una quindicina di giorni prima, quando si era ubriaco da far schifo.

Si era risvegliato il mattino dopo nel letto di Claudio, il suo migliore amico, con i pantaloni e i boxer attorcigliati alle caviglie e un pulsare sordo alle tempie.

Claudio era in salotto, sdraiato sul tappeto, circondato da bicchieri di plastica appiccicosi e lattine vuote di birra.

Lampi, solo quello. Più si sforzava di ricordare e più il sonno lasciava il posto a quella veglia inquieta e al desiderio di scendere in strada e guidare.

Una settimana dopo la festa, sua madre l’aveva guardato stanca, all’alba, seduta sul divano di casa con l’espressione sconfitta. Non aveva detto una parola, proprio lei che non perdeva occasione per ammorbarlo con le sue raccomandazioni, si era limitata a scuotere il capo, prima di sparire nella sua stanza. Lasciandolo a quel silenzio pesante che ormai scandiva ogni minuto del suo tempo.

Un silenzio che aveva la forma delle buche nell’asfalto.

Di giorno non usciva mai. Stava sdraiato sul letto a sfogliare vecchie foto. Con suo padre, quando ancora c’era, durante le vacanze al mare o in montagna. Quelle con i suoi compagni di calcio, Francesco Sparaco, la giovane promessa che, intorno ai quattordici anni, aveva preferito le canne e la vodka agli allenamenti pomeridiani. E poi Valentina, decine e decine di scatti da ogni angolazione. I capelli accesi dal sole, le labbra sottili, gli occhi piccoli e allungati, di uno strano castano, che quando era di cattivo umore affondava nel nero. Valentina che gli stringeva una mano, che fingeva di mordergli una guancia, che lo guardava come si guarda il primo che ti macchia, che incide la prima crepa.

Valentina che ora stava con Guido, nel suo letto, sul suo motorino, tra le pagine di altri album fotografici.

Valentina che, anche se lui l’aveva supplicata, la sera della festa non era venuta, lasciandolo solo in mezzo a un gruppo di ragazze con il naso diverso, le labbra troppo carnose e lo sguardo sbagliato, e una cassa di birre da svuotare, per non pensare, per evitare di fare tutto a pezzi, comprese quelle foto di lei che portava sempre in tasca.

Lampi, la musica alta, la birra amara, qualche risata sguaiata.

Lampi, Claudio in piedi sul tavolo con le brache calate, a vantarsi dei suoi ventuno centimetri.

Lampi, la camera da letto, la puzza di sudore, di calzini sporchi.

La musica sempre più alta.

Un naso diverso, una bocca troppo carnosa e serrata, uno sguardo sbagliato e accusatorio. Piccole dita sulla sua schiena. Graffi, labbra tagliate da denti rabbiosi.

Lampi e singhiozzi, e un nulla famelico e aggressivo in cui chiudere gli occhi. Qualcosa di caldo in cui affondare prima di dormire, di dimenticare.

Non dormiva più. Non dormiva più da quindici giorni. Setacciava le strade di Tor Pignattara. Cercava lei, perché lei era lì, da qualche parte, instancabile, determinata.

Non potevano accusarlo di nulla, era la sua parola contro quella di lei. Forse, o forse non avrebbe dormito mai più.

Ne aveva visto uno due giorni dopo la festa, appeso accanto all’ingresso di un bar che frequentava di rado. Un foglio A4, la sua foto presa dal profilo di Facebook, quella in cui sorrideva all’obbiettivo accanto a Valentina. Lei era stata tagliata via. L’avrebbe visto, avrebbe visto quei fogli sui muri sudici, e si sarebbe vergognata anche solo di averlo conosciuto.

Quel foglio l’aveva strappato via con un misto di ferocia e umiliazione.

Sotto la foto una semplice scritta:

Francesco Sparaco

Infame Stupratore.

Un racconto di Giovanna Giordano

Illustrazione di Maria Sciannimanico

Giovanna Giordano

Giovanna nasce in padania da genitori terronici, dal nord ha imparato ad alcolizzarsi di vino, dal sud a mangiare come se non ci fosse un domani. Da piccola ha frequentato tutte le scuole cattoliche che Verona offriva, infatti poi è diventata atea. Da grande vuol far parte del fronte liberazione nani da giardino.

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