sciannimanico per marinelli

Il cantante, la parabola e la piscina

A quelli a cui piace pensare che ci sia sempre una ragione – e per ogni cosa – a quelli che non si fermeranno a giudicare un casino come un casino e basta – una macchia di inchiostro sbrodolata per sbaglio a margine dal pittore che sfuma le nostre emozioni temperate sulla tela maestosa dell’eternità – a quelli che hanno bisogno di credere nell’arte astratta e non hanno paura di farlo il cantante, la piscina e la parabola, o la parabola del cantante, la piscina e la parabola – dove la seconda parabola è una vera parabola della tv via cavo a differenza della prima, che è un modo di avvertire chi sente una storia che dentro ci può trovare qualcosa di interessante – possiamo assicurare che senza dubbio il cantante aveva le sue ragioni quando decise di agonizzare lì a bordo piscina con le casse mitraglianti la sua stessa musica puntate addosso, prima fra tutte – ma si ricordino, quelli dell’andamento morale del caos, che non siamo nella posizione di spingerci oltre la supposizione – il fastidio provato nel pensare a quando la sua storia con la parabola sarebbe stata letta da qualcuno come una parabola, da cui la necessità di trasformare una delle due – e dato che per i suddetti pescatori di senso siamo condannati a produrlo anche sotto effetto delle droghe più terribili, la scelta non sarebbe potuta che ricadere sulla seconda parabola – e in particolare la seconda parabola in un ombrellone per proteggersi dal sole di Agosto, in modo di trasformare almeno la parabola del cantante, la piscina e la parabola nella parabola del cantante, la piscina e la parabola che però è un ombrello, e non secondo poi il fatto che i vicini dovevano avergli fatto qualcosa, o l’umanità doveva avergli fatto qualcosa per convincerlo a torturarli con la sua musica a ciavatta nel giardino per oltre tre giorni di seguito, anche se si può supporre senza eccessive difficoltà il tremore che lo coglie sul lettino inzuppato del suo sudore nelle parti non coperte dalla parabola – che d’altronde a malapena può esaudire il suo nuovo scopo di ombrellone, e a fatica – il principio di un parziale pentimento, una forma di solidarietà nei confronti dello strazio che la sua disperazione sta provocando all’intero isolato o un amore rinnegato per l’uomo.

Il cantante, però – va detto – sembra aver superato la fase della compassione umana e anche quella del raschiare il fondo alla disperazione ego-riferita, causa l’insonnia: si immaginino tre giorni di fila senza sonno, e la fase che a quel punto si attraversa: quella della ricerca delle risposte nelle cose, come nell’acqua clorata, nel legno della sedia sdraio, nella plastica del domo-pack sottovuoto le cui noccioline senza le forbici che non si ha la forza di andare a prendere niente, che dolorosa e meravigliosa allegoria – l’insonnia – in preda ai suffumigi inaciditi di un sonno isterico – della distanza incolmabile tra l’uomo e l’idea di contatto, dell’impossibilità di ogni relazione diretta tra egli e il mondo, dell’illusione della sua unica folla, una follia di folla, una persona o cento, o mille, lo immaginino i cercatori di bellezza, stiamo parlando di un cantante ipotetico.

L’insonnia sembra risolvere il problema: non c’è e non ci sarà mai un pubblico, non esiste neanche il concetto di pubblico, dalla prospettiva dell’insonne. Sarà che la vicinanza al metallo dell’antenna parabolica bollente che il cantante metal sta usando senza troppo successo come ombrellone amplifica la percezione del caldo, sarà che la sua musica consistente di due album e un singolo trasmessi in loop da svariate decine di ore sta scavando un cunicolo nella sua testa, magari per la debolezza delle resistenze mentali che gli provoca questa lunga insonnia, questo dolore che il tempo ha tramutato in assenza di stacco, sarà Anna, o Anna torcibudella, spappola fegato come i bomboni che mi faccio la sera quando prego Satana, sei tu la mia puttana, cara Anna, come gridano le casse a tutto volume accompagnando i lamenti di una chitarra distorta, supponiamo che sia proprio Anna, per la gioia dei moralisti che sono interessati ad ascoltare, ma ecco che il cantante metal non sente o s’immagina niente di ciò che sta succedendo nell’isolato, delle orde di vicini furiosi, della polizia, della mamma che chiama al telefono e nessuno risponde mai.

O forse sì. Forse adesso quello è il suo pubblico non pubblico. L’unico pubblico possibile dopo che l’unico pubblico possibile se n’è andato è il pubblico infuriato, quello che ti vuole fare a pezzi, l’unico pubblico che puoi immaginarti dopo tre giorni che non dormi ti vuole fare a pezzi, qualsiasi cosa dopo tre giorni che non dormi ti vuole fare a pezzi.

 

Magari è per questo che il cantante metal si è buttato in acqua, e con le casse a ciavatta accese già da così tanto tempo ha deciso di annegare, o ci stiamo soltanto illudendo: perché nel momento in cui tutti entrano nella bifamiliare del cantante metal il cui cancello è stato buttato giù dalla polizia nessuno sa da quanto sia morto annegato, con l’ombra della parabola che finalmente lo copre per bene, come un vero ombrellone da piscina, potrebbe essere tranquillamente morto tre giorni fa, mentre qualcuno ancora lo insulta perché pensa che stia facendo il morto a galla, ma – mi dispiace miei pescatori di bellezza nelle favole vi farò pescatori di realtà. Non è così.

E allora chissà perché ci piace pensare che mentre moriva abbia creduto che ci dovesse essere qualcosa nella sua musica, che mentre annegava abbia pensato, il cantante metal, che doveva esserci qualcosa di magico: suonava così strana la sua arte da lì sotto, da così vicino.

Illustrazione di Maria Sciannimanico

Luca Marinelli

Ha per tanto tempo pensato di essere un attore famoso. Poi si è reso conto che quello, a differenza sua, era nato in un carciofo alieno. Da allora scrive per compensare il distacco tra quello che è e quello che sarebbe voluto essere e con la scrittura si è fatto tanti amici. Alcuni di questi sono anche delle persone vere.

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