Luca Giommoni Marco Pellino Discarica

Ricordarsi Milo

Mi chiamo Milo e ho sessantatré anni. Il mio colore preferito è il blu.

Dopo l’ultimo episodio, il dottore mi ha consigliato di tenere degli appunti e di iniziare raccontando sempre qualcosa di me: è utile per il mio problema, dice.

Questa mattina sono andato al lavoro. Ho scoperto di essere in pensione da un anno. Non mi ricordo le cose, è questo il mio problema. Eventi recenti, da cosa ho mangiato a colazione a dove ho messo l’aspirapolvere, e se l’abbia già passato, cose così. Una cosa degenerativa, dice il dottore. Alzheimer, mi sembra, ho sempre avuto più difficoltà nel ricordarmi le parole semplici che quelle complesse.

Scrivendo questi appunti, dice, rafforzerò la memoria sia a breve che a lungo termine. Devo scrivere i miei pensieri e le mie azioni e tenere gli appunti in luoghi visibili in modo da poterli ritrovare.

Io e mia moglie abbiamo divorziato al Caffè Saint Denis, una mattina d’estate. La lancia Delta del ’93, color amaranto, è la mia macchina preferita.

Ho riletto i miei appunti, mi ricordavo quasi tutto. È una cosa che va e viene, con il tempo verrà sempre di più, dice il dottore. L’amnesia è come una discarica dove finiscono i ricordi: all’inizio sono smaltiti solo i cosiddetti ricordi spazzatura, quelli percepiti come inutili, poi si espande ai ricordi stabili, così mi ha spiegato. Scrivere serve per contrastare tutto questo.

Mia madre faceva il tiramisù più buono del mondo. Da ragazzo tifavo per l’Udinese perché aveva gli stessi colori della Juve ma era meno tifata.  

Mi sono sorpreso a pensare di non aver mai visto una discarica dal vivo. Io butto l’immondizia, poi di quell’immondizia non ne so più niente. Né l’utilizzo né la destinazione. Domani voglio approfondire la questione. Ora metto gli appunti vicino allo spazzolino da denti così da non poterli non vedere. Devo vedere com’è fatta una discarica.

Il calcio di un cavallo ha ucciso mia sorella quando ero bambino. Indagine su un cittadino è uno dei miei film preferiti.

Non è stato semplice, ma ho visto una discarica. Mi è toccato stare fuori tutto il giorno e con gli appunti a portata di mano nel caso non mi fossi ricordato perché stessi seguendo il camion della nettezza urbana. Ho scoperto che gli spazzini, prima di arrivare alla discarica, fermano il camion appena trovano il primo campo utile e si fanno due scambi a pallone. È stato un bel momento ma anche insidioso: ho temuto che si accorgessero di me. Non potendo parcheggiare la macchina a ridosso del campo, ho proseguito un po’ più avanti. Ho accostato e, nell’attesa che finisse la partitella, ho inscenato di raccogliere dei papaveri. Ne ho presi una ventina, devo ricordarmi di metterli nell’acqua.

Il camion ha impiegato quasi un’intera giornata per arrivare alla discarica, e io con lui. Sono appena rientrato. Ho più voglia di riposare che di scrivere, ma devo farlo, soprattutto dopo quello che ho visto.

Vedere la discarica mi ha fatto tornare in mente la soffitta dei miei genitori. Ci sono tornato qualche anno fa, quando morì mia madre. Il mio kit da falegname, la mia fionda, il mio cavallino in cartapesta, la mia collezione di soldatini di latta, erano tutti là, accatastati l’uno sull’altro, senza nessuno che se ne prendesse cura. Sotto quella trascuratezza c’erano zigomi di vecchi amici, gomiti sbucciati, mattine di Luglio. Una persona non dovrebbe dimenticare mai niente. Tutto è importante.

Mio figlio piangeva quando doveva andare a catechismo. Non ho mai fumato.

Ho visto la mia vicina di casa buttare nella spazzatura uno spremiagrumi. Mi sono intristito. Penso che dovrò presentarmi a casa sua e spiegarle le mie riflessioni. Discutere con lei se sia giusto sbarazzarsi per sempre di quello spremiagrumi e se magari un giorno non le potrà tornare utile e rimpiangere di averlo perso.

Il giorno dopo il diploma siamo andati al fiume, c’era anche mia moglie quando ancora non lo era. Se la sento, non posso non cantare una canzone di Battiato.

Dice che ne ha comprato uno elettrico. Quando le ho chiesto cosa pensasse all’immagine del suo spremiagrumi disperso in una discarica, in un’amnesia di altri oggetti, mi ha detto che se volevo potevo tenermelo. Ho portato con me a casa lo spremiagrumi. Osservandolo non posso pensare che non racchiuda dei ricordi. Spremute alle cinque del pomeriggio. Mani che lo puliscono. È tutto qui dentro, ed è imprudente liberarsene.

Mio padre, la domenica, mi portava sempre a passeggiare in campagna per strade sterrate. Quando piove, porto sempre due ombrelli, nel caso uno si rompa.

Voglio continuare a salvare ricordi: sono tornato alla discarica. Ho trovato questo videogioco e mi sono ricordato di non aver mai regalato qualcosa di così moderno a mio figlio. Sta sempre fisso su quelle palline clic clac, cercando di farle battere più velocemente possibile sia sopra che sotto. Non vedo l’ora di darglielo. Già immagino la faccia che farà.

Dietro il vecchio frassino nella tenuta di mio padre, ho dato il primo bacio. A teatro mi sono addormentato solo una volta.

Non ritrovo più l’aspirapolvere. Mi viene il dubbio di averla buttata. Devo correre subito alla discarica. Non posso abbandonarla.

I papaveri stanno morendo, prima di uscire devo per forza metterli in un vaso con dell’acqua.

Ho trovato questi fogli sparsi per terra. Non ricordo come ci siano finiti. Parlano di un certo Milo. Dice che è andato alla discarica per ritrovare la sua aspirapolvere. Credo che dovrò andare a controllare, forse lo troverò lì e gli chiederò spiegazioni.

Lo scrivo, così se qualcuno lo leggerà saprà dove sono.

Un racconto di Luca Giommoni
Illustrazione di Marco Pellino

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