Poi vi ammalate

Mamma ce lo ripete di continuo: «Per uscire vestitevi bene, che fuori si gela e poi vi ammalate». Questo vuol dire che oltre al cappotto con la pettorina aggiunta, bisogna mettersi il cappello, i guanti e la sciarpa.

Ora, lasciamo perdere la sciarpa, che con questo fratello sempre appiccicato addosso, c’è da farsi venire un sorbollito, e poi finisce che mi gratto tutto il giorno. Tanto non importa se a mamma glielo diciamo di continuo, lei non capisce e attacca con la storia del mal di gola, del raffreddore e del sistema immunitario, e ci viene subito da ribaltare gli occhi al cielo. Però i guanti e il cappello, quelli sì, ce li dobbiamo mettere e non vale levarseli di nascosto. Mio fratello fa sempre come gli pare, non c’è verso di ottenere niente e se ne frega alla grande di farsi venire la febbre e di fermarci al letto per una settimana. In più domani c’è la festa mascherata spettacolare e noi abbiamo il vestito più pauroso di tutti e vedrai che si vince il premio, e alla fine vincere è quello che conta. A questo giro c’è una medaglia dorata con scritto 1, e due cesti di caramelle grossi come tutte le cingomme del bar messe insieme. Se si porta a casa il bottino, è di sicuro per merito mio perché ho la parte più bella del costume, e mamma ha pensato a un trucco tutto speciale per farmi essere paurosissimo.

Oggi, siccome bisognava uscire per forza perché al parco sotto casa hanno montato lo scivolo nuovo giallo fiammante, con una scala rossa come una Ferrari Testarossa, larga che ci possiamo salire insieme senza camminare tutti di traverso, e noi bisogna andare per salirci subito sopra prima degli altri. Qui ci possiamo stare pure da soli, senza la mamma che stia sempre lì a dire non sudate, non saltate, non salite che poi vi fate male e tutte queste cose così.

Questa faccenda di arrivare primi sullo scivolo è importantissima, non perché poi passiamo la giornata come gli scemi a buttarci giù e risalire, questi sono i giochini da bimbi di sei anni, a otto anni non li facciamo più. Infatti ci piazziamo di vedetta per controllare quando arrivano i cattivi, specialmente Francesco, che fa sempre il grosso perché c’ha l’iPhone vecchio della sua sorella grande e ci guarda i video, e ci tira i sassi addosso e ci dice mostri e sgorbi e tutte delle cose come queste. Allora noi se siamo già in alto li possiamo prendere a sassate con il vantaggio. Poi lo sanno tutti che chi prima arriva diventa padrone.

Solo che per fare un bel carico di pietre giuste e un po’ spigolose, c’è da darsi da fare parecchio, e succede sempre che mio fratello tira da una parte e io da quell’altra e alla fine si fa come decide lui perché è perfido e falso come il demonio, e poi va da mamma e frigna che io gli ho fatto qualcosa, e mi tocca ciucciarmi per una settimana quel cartone cretino di Ben 10, mentre io voglio guardare Alvin.

Il fatto è che lui, siccome è il più bellino, con un faccino più ravversato e il collo dritto, e anche il braccio dalla parte dove siamo attaccati è più normale del mio, è diventato il preferito. La gente non gli fa la faccia strana come a me, quando ci parla. La verità vera è che mi si è incarnito addosso da una parte mentre s’era in pancia, e io mi sono stortato tutto per fargli posto, e se lui cresce di più perché mangia sempre tutti gli spinaci e le cose così che fanno schifo ma fanno bene, io divento ancora peggio: con il collo sempre più torto, il braccio nel mezzo imparentato con la pancia, mi diventa sempre più strano e fino, e la spalla quasi finita si fa sempre più appuntita e sembra un gobbetta.

La fregatura è un po’ questa, perché non è che mi bastava avere la sciagura di un fratello attaccato per un fianco con mezza pancia insieme, ci doveva essere anche la croce di dover stare attenti a tutto, perché quello prende il sopravvento e cresce come un gigante e mi schiaccia e mi ruba la pelle e tutto quel che c’è. Io a questo fratello che mi è toccato di avere sempre vicino, non è che non gli voglio bene per niente, però nemmeno tanto come succede ad alcuni fratelli, che gli regaleresti un iPhone, anche se vecchio. Insomma gli voglio un bene normale, e certe volte poco.

Al solito, lui si incaponisce di prendere proprio un sasso che è mezzo sotterrato, e con i guanti è difficile, allora se li leva, e già che c’è si toglie pure il berretto e ce li infila dentro. «Almeno non li perdo» dice. Allora io gli dico: «Rimettiteli subito che poi ci viene la febbre e ci perdiamo la festa». E lui: «Non mi rompere», e io: «Copriti», e lui: «Pensa per te», e io: «Se ti vede mamma non ci fa andare alla festa», e lui: «A me non me ne frega di quella festa cretina».

Allora a quel punto mi ci arrabbio per davvero, perché il vestito bellissimo da mostro a due teste con il trucco tutto verde sanguinoso dei morti viventi e anche i bulloni che sembrano veri di Frankenstein che ti trapanano per finta le tempie, io me li voglio mettere, e lui è geloso a pensarsi meno di me, perché a me mi sta meglio che a lui, per via del collo e del viso un po’ sbilenco che c’ho di mio.

«Rimettiti i guanti e il cappello» dico. «Perché sennò che fai?» dice.

E poi mi viene una rabbia infinita, e nemmeno lo posso guardare dritto nel muso per dirgli chiaro negli occhi che è uno schifo di fratello schifoso. E mi levo i guanti e glieli tiro, e poi prendo il sasso e glielo picchio forte sulla testa, e nel braccio e tutto addosso, e anche lui. Mentre ce le diamo forti forti fortissime, ci fa male tutto, e perdiamo il cappotto, e cadiamo per terra, e fa un freddo cane, e arriva Francesco con gli amici suoi che dicono le cose cretine, e noi ci picchiamo ancora, con questo freddo esagerato, e le sassate ce le tira anche lui, e mi ci viene sempre più rabbia che piangerei fino a Natale, ma tanto ormai non mi importa più niente, lui c’ha tutto il sangue nel suo viso bello, e anche se non ci viene la febbre, col cavolo che mamma ci fa andare alla festa.

 

Un racconto di Valentina Santini

Illustrazione di Angelo Policicchio

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