Vite da inchiostro

Trasalisci. Non è la crepa a turbarti, lei è soltanto lì, sul muro di fronte a te a due metri dalla scrivania. Ma la stavi fissando con aria smarrita e non sai perché. Cercavi suggerimenti? Allora hai mancato il bersaglio, l’unica cosa che ti ha rivelato – lo noti adesso – è che la sua forma somiglia molto a quella del piccolo spacco sul foglio che hai davanti, e sul quale hai gettato poco più di settanta parole poco efficaci.

Così sposti lo sguardo sul pezzo di carta, più precisamente tra le parole noti e adesso. Caspita, è proprio uguale! E siccome sei sempre stata attratta dalle situazioni a retrogusto new-age, ti convinci che non deve essere un caso. Infili, quindi, la punta della penna sulla fessura del foglio come se volessi intingerla nell’ispirazione. Tre secondi dopo, un’idea ti aggredisce come una folgore e con un sorriso disegnato dai pensieri “Non ci credo!” e “Lo sapevo io!”, ti scopri a considerare l’esistenza degli incantesimi. Riprendi subito a scrivere.

La penna scivola sul foglio come un pattinatore sul ghiaccio, le parole sgorgano fluide, il sorriso lascia il posto alla punta della lingua appena sopra il labbro superiore, come fai sempre quando sei concentrata. Scrivi più in fretta, quasi a temere che l’invisibile inchiostro magico finisca da un momento all’altro, e con la tua piccola calligrafia riempi poco meno dell’intera pagina. Poi, un repentino senso di turbamento e lucidità ti ferma. Ti rendi conto che, da quel punto in avanti, i percorsi che il racconto potrebbe prendere si moltiplicano, e con più turbamento e meno lucidità, noti che non sai decidere quale di questi farai prendere a Lea, la tua eroina.

Torni a intingere la penna sulla fessura, magari funziona di nuovo. Con quella parte dell’occhio che scorge le cose a cui non dai importanza, vedi che non ha la stessa forma di prima, forse l’avevi allargata con la penna la volta precedente. Tre, sette, dieci secondi. Niente. “Che cretina!” è la frase che scegli per accompagnare lo sbuffo e il sonoro urto del palmo della tua mano in picchiata sulla scrivania. Rileggi dall’inizio. Quando arrivi alle ultime parole ti sembra di avere acqua che bolle dentro la testa. Non sai più se quello che hai scritto ti convince.

Ok, cerchi qualcosa per rilassarti. Una passeggiata? Si, perché no! Ti alzi e, mentre lo fai, gli occhi ti vanno sulla crepa nel muro, ti sembra si sia allargata, come nel foglio. Lo guardi, guardi di nuovo il muro, guardi di nuovo il foglio. Sarà che… Ma no, non è possibile, la memoria non è infallibile ed è certo che hai distorto il ricordo. Ti sfugge il motivo per cui ti trovi in piedi quindi ti siedi di nuovo scuotendo appena la testa, la bocca ti abbozza un sorriso obbligato.

Rileggi ancora una volta, con gesto meccanico serri le mandibole, respiri come un cane. Cancelli una parola scarabocchiandola, ci scrivi un sinonimo appena più in alto, elimini un avverbio, ti accanisci con la penna su un’intera frase abolendola e ci metti un asterisco per indicare che l’espressione corretta si trova da un’altra parte. Subito vai a scrivere in fondo alla pagina l’altro asterisco seguito dalla frase sostitutiva. No, non va bene nemmeno questa. Stringi più forte la penna come se fosse un rompighiaccio e, accompagnandoti con un lamento che nasce sottofondo e finisce un’ottava più alta, scarabocchi anche queste ultime parole. In quel momento decidi che Lea non ha più senso di esistere.

Infili la penna con rabbia nello spacco e tiri giù lacerando il foglio in quasi tutta la sua lunghezza, parecchi fogli sotto vivono la stessa sorte. Stacchi la pagina e con un urlo feroce l’accartocci. Solo quando stai per scaraventarla nel cestino ti accorgi che la crepa sul muro sta diventando un enorme squarcio che spietato si prolunga in alto e in basso, il rombo è tremendo, come hai fatto a sentirlo solo adesso? Al rallentatore vedi le mattonelle che saltano una ad una lasciando il passo alla spaccatura tra i tuoi piedi, sul soffitto la falla si muove a scatti, scagliando calcinacci all’impazzata, e arriva fino alla lampada che ti sputa addosso tutte le scintille che aveva.

Dalla fenditura di fronte a te, dove prima c’era la crepa, erompe un grido soffocato e subito da lì inizia il risucchio, prima debole, solo il fumo dell’incenso e qualche granello dell’intonaco che continua a cadere, ma pian piano prende forza: un paio di petali caduti sul pavimento, alcuni foglietti sparsi qua e là, il piccolo centrotavola di pizzo. Poi il tappeto, i fiori, il vaso, e ancora: tavolini, quadri, libri, scrivania, mensole, libreria e anche te sulla sedia scivolano aspirate. Con uno slancio disperato riesci ad aggrapparti alla maniglia della porta ma c’è poco da fare, sembri un supereroe che cerca di imparare a volare in retromarcia, e le pareti e il soffitto e il pavimento e la porta cedono: il tuo studio si arriccia e si chiude su sé stesso come se fosse un cubo di carta schiacciato.

 

Non avresti mai creduto che la tua storia potesse finire così. Sepolta all’interno di una pagina di block notes A4 accartocciata dalle mani della tua autrice, le stesse che ti avevano dato vita scrivendo di te. Una pagina di block notes A4 accartocciata e poi buttata nel cestino, insieme ad altre ventisei tue vite precedenti e finite allo stesso modo.

Forse un ultimo tuo pensiero riesce ad affiorare appena in tempo nella mente di lei che rimane fissando il cestino: ”Rinascerò”.

 

 

Un racconto di Daniel Silvestri

Illustrazione di Alessia Arti

 

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