Annachiara Vivi_Giulio Fenelli

Atlantide

C’erano lingue di sabbia che affioravano sopra e intorno al fiume. A volte cedevano alla pressione dell’acqua, mentre altre si sollevavano quel che poco che bastava per respirare. Come grandi amanti, terra e acqua si soffocavano per poter emergere.

Marco, in quelle giornate di giacche aperte e luce abbagliante, amava passeggiare sul lungo fiume e guardare quelle isole. Poggiò i gomiti sui lastroni di cemento. Dalla maglietta uscì la collana che lei gli aveva regalato cinque anni prima. Era d’argento, una volta. Giada la guardò, poi voltò le spalle al canale.

“Atlantide potrebbe essere così”, disse a Giada. Lei si girò.

“Coperta di spazzatura”, gli risposero i suoi occhi stanchi.

“Non è spazzatura, è evoluzione”.

“Beh, l’evoluzione puzza di merda e mozziconi di sigaretta”.

“Non lo sapevi? Se vai avanti qualcosa indietro bisogna lasciare”, disse buttando la sigaretta per terra.

Lei non gli rispose più, schiacciò la sigaretta con la punta delle scarpe e se ne andò.

Marco guardò l’ultimo filo di fumo uscire dal mozzicone e la rincorse. Sopra di loro il cielo si stava annuvolando.

“Oh, ma dove cazzo vai?”

“A casa”.

“Ma dai, andiamo al cinema”.

“Non voglio”.

“Ho preso i biglietti, ci aspettano morti, tenebre e orrori. Che vuoi di più?”

“Mi è passata la voglia”

I suoi tacchi rimbombavano sui lastroni del ponte. Lei due passi avanti a lui. La pioggia che li investiva, il vento che gli faceva volare i cappotti. Le braci della sigaretta di Marco si perdevano nel fiume.

“Domani sarà tutto finito”.

“Solo per te”.

“Non pensiamoci, andiamo”.

“Ma come fai a far finta di niente? Io non ce la faccio. Sarò stronza, ma no. Vaffanculo”

“Non faccio finta di niente”.

“Ah no? Andiamo al cinema, andiamo a prenderci una cosa da bere. Solo stronzate”.

“Non è colpa mia”.

“Non la senti questa fine che ci piove addosso? Sommerge ogni cosa”.

“Domani sarà tutto finito”.

“No”.

“Questa pioggia porterà via tutto e domani tornerà come prima, vedrai”.

“Si chiama evoluzione”.

“Esatto”.

Marco butta la cicca nel fiume. Giada lo guarda.

“Indietro resterà la merda e i mozziconi di sigaretta, giusto?”

Rimangono immobili. Si guardano negli occhi bagnati. Giada sotto un ombrello, la pioggia che le precipita intorno. Una colonna di gocce rumorose la protegge. Marco un passo indietro. Ha la bocca aperta, i capelli travolti da rivoli veloci. La catenina che porta al collo, quella che lei gli ha regalato, affondata nel cotone dei suoi vestiti. Non si dicono più niente, mentre cieli grigi come dune di cenere cercano un posto dove morire.

Un racconto di Giulio Fenelli

Illustrazione di Annachiara Vivi

Giulio Fenelli

Romano DOC. Da piccolo ha frequentato corsi di equitazione circense, golf, tennis, sci alpino e appenninico, e nel tempo libero scriveva poesie. Poi ha conosciuto il whiskey e le sigarette, e alle poesie non ci ha più pensato. Sogna in piccolo: gli basterebbe scrivere il nuovo Notturno Cileno e timonare il suo Pequod.

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